Skip to main content

La guerra energetica dietro il piano Witkoff: gasdotti, (dis)accordi e nuove scoperte

Il no al gasdotto Eastmed si mescola con la presenza di Cosco al Pireo, con l’esigenza europea di chiudere definitivamente al gas russo e con i ricavi di Mosca in netto calo rispetto al 2024. Cina e Stati Uniti si incontrano e si scontrano nel Mediterraneo, con i player periferici che si muovono di conseguenza. Il risultato è un risiko, che vede ridisegnare le strategie non solo dei singoli Paesi ma di interi settori industriali e di policies ad essi interconnesse

Non ci sono solo i droni, le rivendicazioni territoriali o l’ingresso di Kyiv in Ue nella filigrana che si scorge leggendo il piano Witkoff per la fine della guerra tra Russia e Ucraina. Bensì una serie di valutazioni di un certo peso alla voce energia che investono (direttamente e indirettamente) tutti gli attori in causa, dall’Atlantico al Mar Nero, dal Mediterraneo al Mare Cinese. È in gioco uno scacchiere geopolitico su larga scala in cui il dossier energetico è il principale protagonista, dal momento che sta ridisegnando le strategie non solo dei singoli Paesi ma di interi settori industriali e di policies ad essi interconnesse.

I (DIS)ACCORDI

Al netto del fatto che la bozza fatta circolare e accettata da Kyiv non abbia ancora ricevuto una risposta da Mosca, i mercati energetici appaiono sotto pressione per via delle conseguenze che ci saranno, in un senso o nell’altro.

In caso di accordo, il rischio per l’approvvigionamento del mercato del diesel, legato alle sanzioni e agli attacchi dei droni ucraini contro le infrastrutture di raffinazione russe, potrebbe venire sensibilmente stemperato.

Passando al gas, la debolezza del mercato europeo ha ampliato lo spread Giappone-Corea-Marker-TTF e continuando così potrebbe verificarsi un rallentamento dei flussi di gnl in Europa. Il tema è direttamente proporzionale anche ai numeri delle parti: ad esempio la Russia quest’anno ha visto diminuire del 20% i propri ricavi da petrolio e gas rispetto a 12 mesi fa e da pochi giorni sono entrate in vigore le sanzioni statunitensi contro le maggiori compagnie petrolifere russe. Valori che, giocoforza, si rifletteranno sul piano con buona pace di chi oggi si dice certo di (dis)accordi.

IL QUADRO NEL MEDITERRANEO

Moltissimi sono i sommovimenti nel mare nostrum, dove da un lato l’Italia ha già imboccato una strada precisa e dall’altro i copiosi giacimenti scoperti tra Cipro ed Egitto faticano a trovare uno sbocco pratico e politico.

Il recente accordo sul gas tra Israele ed Egitto rischia di venire stracciato dalle tensioni tra Gaza e il Sinai, dove le mai sanate controversie bloccano l’aumento dei flussi, spingendo l’Egitto ad assicurarsi alternative al gnl di Gerusalemme, ma con il rischio di staccare un assegno in direzione del Cremlino.

L’accordo, del valore di 35 miliardi di dollari, prevedeva la fornitura di 130 miliardi di metri cubi di gas fino al 2040, ma l’attuazione sarebbe dovuta scattare il 30 novembre. Tra pochi giorni sarà chiaro se andrà in porto o meno, nel frattempo le aziende che gestiscono il giacimento Leviathan premono per non fare marcia indietro e continuano a insistere per l’attuazione.

Si tratta delle maggiori realtà mondiali, guidate da Chevron, che detiene il 39,66 percento del giacimento, insieme a NewMed Energy e Ratio. Fumo negli occhi di Pechino e Mosca. Gli Stati Uniti restano favorevoli all’accordo, ma non è ancora chiaro chi stia spingendo Il Cairo a frenare: nelle ultime ore fonti egiziane hanno detto che le dichiarazioni israeliane di esportare gas a Cipro o in Europa attraverso la Grecia sono “illogiche”.

DALL’EASTMED A NUOVI PROGETTI PER L’EUROPA

Una premessa storica-finanziaria è basilare per comprendere l’incastro di questo puzzle geopolitico altamente complesso, che si è già mescolato con temi apparentemente distanti come la crisi dell’euro e la troika in Grecia, le nuove licenze esplorative nel Mediterraneo orientale, le pressioni esterne contro il gasdotto Eastmed, il recente accordo sulla zona economica esclusiva tra Libia e Turchia.

Va ricordato che Cosco, gigante cinese, ha privatizzato il porto greco del Pireo da dieci anni, mentre il porto di Salonicco è gestito da un consorzio commerciale russo-greco, per cui Washington sta puntando al porto settentrionale di Alexandroupolis sia per riequilibrare la questione geopoliticamente, sia per evitare che anche quel sito altamente strategico sia predato da players esterni così invasivi. Lì infatti c’è la nuova unità galleggiante di rigassificazione, da lì transita il gasdotto Tap e lì si sta realizzando la Via Carpatia che permetterà alla Nato di far circolare mezzi e uomini fino alla Lituania.

Sul punto si registrano le parole della neo ambasciatrice degli Stati Uniti in Grecia, Kimberly Guilfoyle, che ha apertamente messo in discussione la presenza della Cina in terra ellenica, insinuando che il Pireo “potrebbe essere in vendita”.

Un attimo dopo l’ambasciata cinese ad Atene ha condannato i suoi commenti, ma di fatto aprendo il risiko tra i due colossi. Dieci giorni fa Stati Uniti e Grecia hanno firmato una dichiarazione congiunta sulla sicurezza nazionale ed economica. Protezione, investimenti e gas: la Grecia (che ha raggiunto un accordo per energia e difesa con l’Ucraina) diventa così un hub per la fornitura di gas naturale liquefatto americano all’Europa centrale e orientale. Secondo l’accordo le consegne di gnl americano arriveranno in Grecia dal primo dicembre tramite il cosiddetto corridoio verticale del gas e al contempo rafforzando l’indipendenza dell’Europa dal gas russo. Ecco la chiave.


×

Iscriviti alla newsletter