La manovra prosegue nel percorso di controllo dei conti pubblici attraverso l’avanzo primario, così incoraggia gli investitori e riduce il costo del collocamento dei titoli. In un quadro europeo di frequenti instabilità, coniuga la stabilità politica con quella finanziaria. Conversazione con Maurizio Sacconi, già ministro del Lavoro e delle politiche sociali
Oltre le tifoserie da stadio. Nel pieno del dibattito sulla manovra economica, Maurizio Sacconi invita a guardare oltre la polemica: per l’ex ministro, la stabilità dei conti resta il vero motore della fiducia dei mercati e della solidità del Paese. Nella sua intervista a Formiche.net, rivendica la coerenza dell’Esecutivo nel difendere avanzo primario e ceto medio, criticando “una cultura pauperistica” che confonde equità con immobilismo. E rilancia: “Più lavoro, più guadagno” resta la bussola per sostenere produttività e crescita.
Come ogni anno si sta consumando un forte dibattito sul versante della manovra presentata dall’Esecutivo. Complessivamente, che giudizio ne dà?
Prosegue nel percorso di controllo dei conti pubblici attraverso l’avanzo primario. Non è poca cosa per un Paese fortemente indebitato che così incoraggia gli investitori e riduce il costo del collocamento dei titoli che rappresentano il debito. L’Italia, in un quadro europeo di frequenti instabilità, coniuga la stabilità politica con quella finanziaria.
Oggi l’opposizione contesta all’esecutivo di favorire chi già ha una condizione economia favorevole. È davvero cosi o c’è una componente ideologica?
La crescita è la migliore risposta alla povertà e ai bassi redditi. Si sono poi confusi i titolari di redditi mediani con i ricchi. Ci vuole proprio una cultura pauperistica per farlo.
Come valuta l’ennesimo sciopero organizzato dalla Cgil, questa volta proprio contro la Manovra?
Niente di nuovo o di inatteso. Al più la novità è che la Uil si è sottratta agli scioperi “politicizzati” della Cgil.
Nel documento economico dell’Esecutivo, concretamente, cosa viene fatto sul piano dei salari?
L’ulteriore modulo di riforma dell’Irpef, dopo i bassi redditi, corregge ora il prelievo su quelli mediani. La detassazione degli aumenti dei contratti nazionali per redditi fino a 28 mila euro interviene invece, ancora, sulle fasce più deboli.
È davvero una misura “tagliata” per il ceto medio?
Sì, anche se redistribuisce poco a tanti.
Quali correttivi potrebbero essere inseriti al rush finale?
Ritengo sarebbe utile a sospingere tanto la produttività quanto i consumi una più decisa e semplice detassazione di premi, dividendi, indennità da straordinario, lavoro festivo, prefestivo o notturno. Il ceto medio si è formato in Italia con la regola “più (e meglio) lavoro, più guadagno”! Qualcosa in questo senso si è avviato ma, almeno, bisognerebbe togliere la norma Fornero che condiziona i premi aziendali all’incremento della produttività rispetto all’anno precedente. Solo una grande azienda può opporre un simile calcolo alla Agenzia delle entrate! Più in generale, dobbiamo ricordare che il lavoro si è fatto partecipativo, ovvero viene richiesto di concorrere a definire gli obiettivi e raggiungere i risultati. Mi sembra che la corrispondente remunerazione debba essere sottratta alla progressività del prelievo fiscale.
















