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Le imprese green affrontano meglio le crisi. Ecco il Rapporto GreenItaly

Giunto alla XVI edizione, il rapporto GreenItaly “torna a raccontare, attraverso numeri, trend e oltre 200 case histories, complessità e sfide offerte dalla transizione verde”. Realizzato dalla Fondazione Symbola e Unioncamere e presentato ieri a Roma,  proprio mentre è in corso, a Belem, in Brasile, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, COP30, ecco i numeri dell’Italia e dell’Europa

Sono state 578.450 le imprese che, tra il 2019 e il 2024, hanno effettuato eco investimenti pari al 38,7% del totale, più di un’impresa su tre. Nell’ultimo anno i green jobs ammontavano a 3 milioni 298mila unità, il 13,8% del totale degli occupati. Nel recupero di materia l’Italia è leader in Europa: secondo Eurostat, la nostra capacità di riciclo del totale dei rifiuti (urbani e speciali) ha raggiunto, nel 2023, il 92,6%, un tasso di gran lunga superiore a quello delle altre grandi economie europee, Francia (81,5%), Germania e Spagna (75,5%) e alla media europea (60%).

Sono questi alcuni dati del Rapporto GreenItaly, realizzato dalla Fondazione Symbola e Unioncamere e presentato ieri a Roma,  proprio mentre è in corso, a Belem, in Brasile, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, COP30. Giunto alla XVI edizione, il rapporto “torna a raccontare, attraverso numeri, trend e oltre 200 case histories, complessità e sfide offerte dalla transizione verde”.

“Nel rapporto si coglie un’accelerazione verso un’economia a misura d’uomo che punta sulla sostenibilità, sull’innovazione, sulle comunità e sui territori – ha detto Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola – Siamo una superpotenza europea dell’economia circolare e questo ci rende più competitivi e capaci di futuro. Possiamo dare forza a questa nostra economia e a questa idea di Italia grazie alle scelte coraggiose compiute dall’Unione Europea con il NextGenerationEU e il Pnrr. La burocrazia inutile ostacola il cambiamento necessario, ma possiamo farcela se mobilitiamo le migliori energie del Paese senza lasciare indietro nessuno, senza lasciare solo nessuno”.

Se allarghiamo lo sguardo all’intero pianeta, dobbiamo, purtroppo, constatare che il cosiddetto circularity gap, ossia il divario tra quanto preleviamo dalla Terra e quanto restituiamo ai cicli produttivi, si sta allargando. Il consumo globale di materiali ha raggiunto livelli senza precedenti, superando i 100 miliardi di tonnellate nel 2024 (erano 90 nel 2020). Se non si corre ai ripari con interventi strutturali, l’estrazione complessiva è destinata a crescere di un ulteriore 60% entro il 2060. Si è ridotta la quota totale dei materiali secondari reimmessi nei cicli produttivi passando dal 9% del 2018 al 6,9% del 2024.

A dieci anni dall’Accordo di Parigi alla COP21 e dall’adozione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile, continuano ad aumentare le emissioni globali di gas serra derivanti dall’uso dei combustibili fossili e dallo sfruttamento del suolo. Una tendenza che ha accelerato il riscaldamento climatico, con una temperatura media globale di 1,53°C superiore ai livelli preindustriali tra agosto 2024 e luglio 2025.

“La transizione green non è più soltanto una scelta etica o ambientale: è il nuovo spazio dove si misurano competitività, produttività e capacità industriale dei Paesi – ha ricordato Andrea Prete, presidente di Unioncamere – Oggi lo vediamo con chiarezza: le imprese che investono con oculatezza e concretezza in tecnologie net-zero, dall’efficienza energetica ai materiali circolari, dai sistemi fotovoltaici di nuova generazione all’idrogeno, non solo riducono le emissioni, ma performano meglio”.

Si spiega così l’aumento, nell’ultimo decennio del numero di imprese italiane che investono in prodotti e tecnologie verdi, anche per rispondere al ruolo sempre più centrale che i nuovi modelli di consumo attribuiscono alla sostenibilità come elemento distintivo della qualità di un prodotto. Tra il 2019 e il 2024, più di un’impresa su tre ha effettuato eco-investimenti, soprattutto nel manufatturiero (un’impresa su due). In agricoltura, l’83% delle imprese ritiene necessario investire per contrastare il cambiamento climatico, percentuale che sale al 92% per le imprese agricole giovanili e quelle del Mezzogiorno.

Nel mercato del lavoro, la crescita delle competenze verdi rappresenta una delle tendenze più significative degli ultimi anni, come dimostra, ad esempio, il settore del design dove “pervasività delle competenze in materia di sostenibilità è dichiarata dall’88% degli operatori”. La richiesta di esperti ambientali è aumentata dopo lo stallo della pandemia, con una domanda crescente di figure capaci di gestire le emissioni, progettare sistemi energetici rinnovabili, misurare l’impatto ambientale. Alla fine dello scorso anno, questi profili professionali rappresentavano il 13,8% dell’occupazione complessiva, con 3 milioni e 300 mila occupati.

Nel riciclo degli imballaggi, l’Italia ha raggiunto la quota effettiva del 76,7% (dati Conai 2024). Questa dato consolida la nostra leadership europea con il raggiungimento, con dieci anni di anticipo, dell’obiettivo di riciclo complessivo al 2030. Le filiere più virtuose sono quelle della carta (92,4%), del vetro (80,3%) e dell’acciaio (86,4%). Anche quella degli imballaggi in plastica, con il 51,1%, supera il target 2025, con la componente tradizionale al 50,8% e quella della plastica biodegradabile al 57,8%.

“Il nostro Paese ha già imboccato la via dell’economia circolare, ma non può dormire sugli allori – ha dichiarato Simona Fontana, direttore generale del Conai – Nel riciclo degli imballaggi abbiamo già dimostrato che la responsabilità condivisa funziona: le imprese hanno innovato, i cittadini hanno risposto e le istituzioni hanno accompagnato. Ora serve un nuovo salto di qualità; perch’ l’economia circolare è una strategia industriale europea, oltre a restare un importante tema ambientale. Ogni punto percentuale di riciclo in più, per gli imballaggi e non solo, può davvero essere un investimento nel futuro competitivo del mercato europeo”.

In ultima analisi, la fotografia che ci restituisce GreenItaly è quella di un’Italia in cui un terzo del sistema produttivo investe in sostenibilità come leva competitiva, con filiere di riciclo tra le più avanzate in Europa. Tuttavia, “la transizione verde resta frenata da barriere strutturali: frammentazione e disomogeneità normativa (in particolare su end of waste e bioeconomia); iter autorizzativi lenti e incerti; incentivi discontinui e mal calibrati; costi energetici elevati; carenze di capitali e infrastrutture per lo scale-up tecnologico”. A livello nazionale, conclude il rapporto, “resta la necessità di una coraggiosa visione di lungo periodo che armonizzi le regole, semplifichi gli iter autorizzativi, preveda incentivi mirati, rafforzi formazione e trasferimento tecnologico, e attivi strumenti finanziari dedicati”.

Ci piace chiudere con la lungimiranza delle parole del Presidente Sergio Mattarella, citato in prefazione: ”Per troppo tempo abbiamo affrontato in modo inadeguato la questione della tutela dell’ambiente e del cambiamento climatico, opponendo artificiosamente fra loro la gestione dell’esistente e quelle del futuro dei nostri figli e nipoti. Per garantire la capacità di competere, l’Europa ha necessità a lungo termine di abbandonare i combustibili fossili e compiere la transizione, evidenziando il nesso – come ha fatto il Rapporto Draghi – tra decarbonizzazione e competitività”.


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