Big G starebbe offrendo i propri semiconduttori TPU a molte aziende, compresa quella di Mark Zuckerberg. La trattativa deve essere ancora chiusa, ma la sola voce è bastata a far crollare in borsa Nvidia: un tonfo da 150 miliardi di dollari
Anche l’intelligenza artificiale impone una diversificazione. Spesso però questa ha delle conseguenze con effetto domino. È proprio quello che è successo nel Triangolo delle Bermuda composto Google-Meta-Nvidia.
La società di Mark Zuckerberg (come tante altre) starebbe trattando con Big G per ottenere i suoi chip TPU, unità di elaborazione tensoriale, anche se i dettagli non sono chiari. Non si sa bene in che modo Meta intenda sfruttarli, se per addestrare i suoi strumenti per l’inferenza. Qualsiasi sia l’obiettivo, parliamo certamente di miliardi di dollari. Ma un accordo ancora non c’è e, come sottolinea il Wall Street Journal, non è detto che ci sia. Ad ogni modo, per una volta conta la cornice più del quadro.
È circa un decennio che Google porta avanti lo sviluppo dei suoi TPU e secondo gli osservatori questi semiconduttori rappresentano la sfida più grande al dominio di Nvidia. Essendo progettati per una specifica attività di elaborazione, possono essere più efficienti sotto l’aspetto energetico, uno dei problemi principali legati all’IA. Il gigante di Jens Huang, per adesso, mantiene un vantaggio importante, elargendo i propri semiconduttori a migliaia di sviluppatori e aziende. “In questo momento la novità più importante nel campo dell’intelligenza artificiale in questo momento è che Google e Nvidia stanno dimostrando una concorrenza straordinaria”, spiega l’amministratore delegato di Core Scientific, Adam Sullivan. “Sono in gara per assicurarsi la massima capacità possibile per i loro data center”.
È bastata la sola voce della trattativa tra Google e Meta a creare scompiglio dentro Nvidia. La società ha bruciato 150 miliardi di dollari a Wall Street, dove ha perso fino al 7% nelle prima contrattazioni, recuperato solo in parte (4%).
L’offerta di Google continua a modernizzarsi, dando un’accelerazione alla corsa globale sull’IA. Lo fa su un doppio fronte. Il primo è quello dei semiconduttori, come abbiamo appena visto. L’altro è invece quello dei modelli generativi. Meno di dieci giorni fa Big G ha lanciato il suo modello “più intelligente”, Gemini 3, che secondo Axios avrebbe delle funzioni superiori a Chat GPT-5.1 di OpenAI, grazie alla possibilità di integrazione immediata nel mondo Google, passando da Search con modalità IA ad Android. In più può essere distribuito a miliardi di utenti senza passare da applicazioni apposite o onboarding.
Tutto questo spaventa Sam Altman. Dentro la startup più preziosa al mondo si respirerebbe un clima pesante in vista di quelli che il ceo ha definito “venti contrari” in una lettera al personale ripresa da The Information. È da mesi che più di qualcuno aspetta OpenAI all’angolo, sostenendo il fatto che stia andando oltre le sue possibilità. E ciononostante, le rivali comunque non sembrano arrendersi.







