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Parlare con la Russia senza passare da Trump. Il progetto (fallito) Uk-Ue

Il consigliere per la sicurezza nazionale britannico Jonathan Powell avrebbe tentato nei mesi scorsi di stabilire un contatto diretto con il Cremlino per discutere del conflitto in Ucraina. Un gesto motivato dal timore che l’amministrazione Trump potesse scavalcare gli alleati europei

Sin dall’insediamento al potere di Donald Trump, gli Stati Uniti hanno assunto sempre più un ruolo da “unico protagonista” per quel che riguarda i rapporti tra Occidente e Federazione Russa, in particolare riguardo al conflitto in Ucraina. Spesso a scapito dell’autonomia dei suoi alleati inglesi ed europei. Non stupisce, dunque, che questi abbiano cercato di stabilire un canale di comunicazione “alternativo” con le alte sfere del Cremlino.

Secondo quanto rivela il Financial Times, nei primi mesi di quest’anno il Consigliere per la sicurezza nazionale del Regno Unito Jonathan Nicholas Powell avrebbe chiamato Yuri Ushakov, il consigliere per la politica estera del presidente russo Vladimir Putin, così da poter portare avanti un confronto diretto con Mosca riguardo al conflitto in Ucraina e alla più generale situazione della sicurezza europea. Dietro questo gesto, secondo tre persone informate dei fatti, vi sarebbe stato il timore che nel suo interfacciarsi con i vertici del potere russo Trump decidesse di soprassedere sulle volontà e le posizioni di Londra, Parigi e in generale delle altre capitali europee, limitandosi a perorare la sua posizione. L’iniziativa di Powell non avrebbe però riscosso l’approvazione unanime tra gli alleati europei, con alcuni preoccupati dal fatto che un’iniziativa autonoma potesse indebolire la pressione diplomatica e sanzionatoria su Mosca, mentre altri temevano che la Casa Bianca potesse interpretare quel gesto come una forma di interferenza rispetto al processo negoziale guidato dagli Stati Uniti.

Timori che hanno perso valore, poiché il tentativo i Powell non ha avuto esito positivo. E non è difficile immaginare il perché: Putin aveva, ed ha ancora, tutto l’interesse a mantenere un rapporto “di esclusività” con la casa Bianca di Trump, non solo per il significato simbolico di apparire come una sorta di interlocutore alla pari per Washington così come lo era stata l’unione Sovietica ai tempi della Guerra Fredda, ma anche perché gli interessi specifici di Trump (che, tra l’altro, fino a poco fa si era mostrato piuttosto accondiscendente verso Mosca) sembra(va)no essere relativamente meno distanti da quelli del Cremlino rispetto a quelli dei Paesi del continente europeo.

Tuttavia, la situazione sembra essere iniziata a cambiare in seguito al vertice bilaterale tra Trump e Putin tenutosi lo scorso agosto ad Anchorage, in Alaska. Da quel momento in poi, ad eccezioni di minori e temporanee inversioni di rotta, Washington ha mantenuto un approccio non proprio amichevole nei confronti del Cremlino (significative in questo senso le sanzioni imposte verso i giganti petroliferi russi Lukoil e Rosneft, o la minaccia di riprendere i test nucleari dopo trent’anni dalla cessazione degli stessi). Probabilmente facendo venire meno la necessità di portare avanti iniziative simili.


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