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Perché la visita di Abbas da Meloni conferma la centralità di Roma

Soprattutto alla luce di altre macro destabilizzazioni come quella in Mali, dove Al Qaeda intende allargare la crisi a tutta la regione del Sahel, lo sforzo italiano tarato sulla striscia assume ancora più valore. Il riferimento è non solo alla presenza militare nel centro aperto da Usa e Israele per promuovere la tregua, ma anche al grande obiettivo rappresentato dalla Conferenza di Ricostruzione in programma a metà novembre al Cairo, che l’Italia sta co-organizzando

La principale consapevolezza maturata dopo le firme sugli accordi di pace trumpiani di Sharm el-Sheikh si ritrova alla voce futuro, ovvero come i soggetti in campo manterranno gli impegni su Gaza (Hamas) e come comporranno un quadro unitario per procedere spediti verso la normalizzazione istituzionale e sociale della striscia. Nel mezzo, i sommovimenti degli attori coinvolti, non solo Israele e Palestina, ma i partners internazionali (tra Europa e Golfo) che al tavolo egiziano hanno preso la penna in mano per scrivere la storia. E quelli che accompagneranno il percorso (si spera virtuoso) verso una stagione del tutto nuova, come l’Italia.

Per cui in attesa dell’arrivo venerdi a Palazzo Chigi del Presidente della Palestina, Mahmūd Abbās in visita da Giorgia Meloni, sono due gli indirizzi che emergono più di altri. Si rafforza il ruolo italiano, tra ricostruzione e una certezza geopolitica: il Medio Oriente rimane assolutamente impegnato a espandere la produzione di energia e a mantenere il proprio dominio sull’offerta globale. Soprattutto alla luce di altre macro destabilizzazioni come quella in Mali dove Al Qaeda intende dolosamente allargare la crisi a tutta la regione del Sahel, lo sforzo italiano tarato sulla striscia assume ancora più valore. Il riferimento è non solo alla presenza militare nel CMCC, il centro aperto da Stati Uniti e Israele per promuovere la tregua a Gaza, ma anche al grande obiettivo rappresentato dalla Conferenza di Ricostruzione in programma a metà novembre al Cairo, che l’Italia sta co-organizzando assieme all’Egitto di Al-Sisi. L’obiettivo è coinvolgere in modo massiccio tutti i paesi del mondo arabo al fine di diffondere il seme della pax orientalis, al netto delle numerose difficoltà che ancora persistono, come la rivelazione di documenti riservati secondo cui l’indagine interna delle Nazioni Unite sul coinvolgimento del personale dell’UNRWA nel massacro del 7 ottobre ha respinto informazioni chiave, tra cui registrazioni audio intercettate e dati di telefoni cellulari, che collegavano quel personale ad Hamas.

Un elemento di stabilità, politica ed economica, è rappresentato dal Qatar, stato con cui il governo Meloni è in solidissime relazioni, sempre più determinante nei tavoli diplomatici e negli equilibri dell’intera area, senza dimenticare il suo peso specifico alla voce energia: l’ultima mossa della QatarEnergy, il colosso statale del petrolio e del gas del Qatar, riguarda la scelta di Samsung C&T Corporation come appaltatore per il nuovo progetto di cattura e del carbonio ad appannaggio degli attuali impianti di produzione di gas naturale liquefatto dello stato del Golfo Persico.

Ma, allargando lo sguardo al caso Gaza, vanno senza dubbio ispezionati una serie di fatti. Come è noto, Israele è diffidente nel consentire alla Turchia di avere un ruolo a Gaza. Di contro l’Arabia Saudita potrebbe non gradire l’eccessivo filo concesso a Doha. In questo senso la notizia del sostanziale ok da parte del Pentagono alla richiesta dell’Arabia Saudita di acquistare almeno 40 caccia F-35 arricchisce il quadro complessivo mediorientale, con Riyad che esegue un ulteriore upgrade. Il tutto alla vigilia della visita negli Stati Uniti del principe ereditario Mohammed bin Salman prevista il prossimo 18 novembre, otto anni dopo il suo ultimo viaggio a Washington.


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