La Commissione europea ha aperto un’indagine contro l’azienda di Mountain View per aver declassato i contenuti degli editori dei media nei risultati di ricerca, in aperta violazione del Digital Markets Act. Non è la prima volta che Big G finisce al centro di un’inchiesta europea, rinnovando lo scontro con gli Usa di Donald Trump
Una violazione del Digital Markets Act (Dsm), per aver declassato i contenuti degli editori dei media nei risultati di ricerca. È il motivo per cui la Commissione europea ha deciso di avviare un’indagine nei confronti di Google che, se colpevole, entro un anno verrà informato sui passi da seguire per risolvere la questione. Al momento siamo in una fase inquisitoria, ma il rischio che corre l’azienda di Mountain View è una sanzione pari al 10% del suo fatturato globale, che verrà raddoppiata in caso di recidiva. O, qualora la violazione diventi sistematica, può imporre persino la vendita dell’azienda.
Il sospetto nasce da un’evidenza, quella che alcuni contenuti di altri inserzionisti erano tenuti molto in basso, quasi nascosti. Una “perdita di visibilità e di entrate”, sostengono da Bruxelles che chiedono a Big G di applicare “condizioni di accesso eque, ragionevoli e non discriminatorie ai siti web degli editori” sul proprio motore di ricerca. “Faremo delle indagini per garantire che gli editori di notizie non perdano entrate importanti in un momento difficile per il settore e per garantire che Google rispetti il Digital Markets Act”, afferma la vicepresidente esecutiva della Commissione Teresa Ribera. “Qual è la conseguenza del fatto che Alphabet applichi la sua politica antispam in modo non giustificato agli editori di notizie? I vostri contenuti vengono declassati. Questo significa perdita di entrate e di visibilità”, le fa eco Thomas Regnier, portavoce della Commissione Ue che invita Google a “cooperare durante tutto il processo”.
La difesa dell’azienda californiana è chiara: “L’indagine annunciata oggi sui nostri sforzi anti-spam è fuorviante e rischia di danneggiare milioni di utenti europei. E l’indagine è infondata”, sottolinea Pandu Nayak, responsabile scientifico di Google Search, ricordando il passato. “Un tribunale tedesco ha già respinto un’affermazione simile, stabilendo che la nostra politica anti-spam era valida, ragionevole e applicata in modo coerente. Questa nuova sorprendente indagine rischia di premiare i malintenzionati e di peggiorare la qualità dei risultati di ricerca”.
Già ad aprile, scrive Reuters, la società tedesca ActMeraki aveva presentato un reclamo alla Commissione proprio per condannare la politica discriminatoria di Google nei confronti degli altri siti web. Accuse simili sono state avanzate dall’European Publishers Councils, dall’European Newspaper Publishers Association e dall’European Magazine Media Association.
Google si ritrova quindi di nuovo sotto osservazione dell’Europa. Nel 2018 aveva subito una sanzione da 4,12 miliardi di dollari per aver sfruttato Android contro la concorrenza, mentre solo due mesi fa gliene veniva inflitta un’altra da 2,95 miliardi per pratiche pubblicitarie illecite utilizzate sui motori di ricerca.
In quest’ultima occasione, il presidente Donald Trump era stato molto chiaro, minacciando l’Ue di nuovi dazi. Per il presidente Usa è una questione di principio: da sempre chiede agli alleati atlantici di non perseguitare le aziende americane, a cominciare da quelle più esposte quali le Big tech. Washington predica un approccio completamente differente rispetto al verbo professato da Bruxelles, preferendo una regolamentazione che non soffochi lo sviluppo. L’esatto opposto di quanto sta facendo l’Ue, pienamente convinta che la strada intrapresa sia quella giusta. Per cui attendiamoci nuove indagini contro i colossi tecnologici e nuovi scontri tra le due sponde dell’Atlantico.
















