Continua, inesorabile, la caduta libera delle entrate fiscali derivanti dalla vendita di greggio e gas ai Paesi amici. La Cina ormai compra solo una manciata di barili, mentre le raffinerie indiane si rivolgono a Stati Uniti ed Emirati. Per il Cremlino sono guai grossi
C’è un numero rimasto sotto coperta, ma che rischia di fare rumore: 27%. Di che si tratta? Della percentuale di minori entrate per la Russia dalla vendita di petrolio e gas. Non è certo un mistero che a Mosca sia scattato, da diverso tempo, l’allarme rosso. Con le nuove sanzioni mosse dagli Stati Uniti contro le grandi compagnie petrolifere russe, Lukoil e Rosneft su tutte, è diventato quasi impossibile per le big oil dei Paesi amici dell’ex Urss comprare e dunque importare greggio. Lo dimostra il fatto che sempre più aziende cinesi tagliano i ponti con la Russia, interrompendo quelle forniture che fino a poche settimane fa sembravano essenziali al Dragone.
I dati appena pubblicati dal ministero delle Finanze russo non lasciano troppo spazio alle interpretazioni. A ottobre, dunque tempi recentissimi, le entrate derivanti da petrolio e gas sono crollate del 27% rispetto all’anno precedente. Mosca, nel dettaglio, ha incassato 888,6 miliardi di rubli, pari a 10,9 miliardi di dollari, in tasse su petrolio e gas, in calo rispetto ai circa 1,2 trilioni di rubli di ottobre 2024.
Un crollo, verticale, avvenuto a causa del calo dei prezzi del greggio, del rafforzamento del rublo e dell’inasprimento delle sanzioni occidentali per l’invasione russa dell’Ucraina. Non è finita. Nei primi 10 mesi del 2025, i ricavi derivanti da idrocarburi hanno raggiunto i 7,5 trilioni di rubli, in calo rispetto ai 9,5 trilioni dello stesso periodo dell’anno scorso, con un calo di oltre 2 trilioni di rubli, pari al 21%.
Ora la situazione non potrà che peggiorare. A fine ottobre, come noto, il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha sanzionato le divisioni finanziarie di Rosneft e Lukoil, le maggiori compagnie petrolifere russe, che insieme rappresentano circa 3 milioni di barili al giorno, quasi la metà delle esportazioni di petrolio via mare del Paese.
Chi può approfittarsi di questa situazione? Decisamente gli Stati Uniti. La prova? Due raffinerie indiane hanno acquistato sul mercato in questi giorni un totale di 5 milioni di barili di petrolio greggio dagli Stati Uniti, dall’Iraq e dagli Emirati Arabi Uniti, proprio nella ricerca di alternative al greggio russo. La Hindustan Petroleum Corp, per esempio, ha acquistato 2 milioni di barili di West Texas Intermediate. Per la Russia sono guai.















