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Si scrive Karan, si legge Dodik. Chi vince in Bosnia preoccupa l’Ue

Fino a poco tempo fa Karan (vincitore alle elezioni di ieri) figurava nella black list del Dipartimento del Tesoro statunitense. Ora invece è libero e, verosimilmente, proverà ad avere una posizione conciliante con l’amministrazione Trump. L’obiettivo è arrivare alle elezioni del prossimo ottobre con un supporto americano anche al fine di disinnescare la fortissima instabilità nel costone balcanico. Una polveriera in cui una singola nuova miccia potrebbe impattare con effetti negativi

Nulla cambia in Bosnia Erzegovina alle elezioni presidenziali serbo-bosniache (contestate dall’opposizione) dove vince l’elter ego di Milorad Dodik, il nazionalista filorusso estromesso dalla corsa elettorale. Sinisa Karan, alleato del leader, si impone nella Repubblica Srpska, l’entità governata dai serbi bosniaci, ponendosi in stretta continuità con il suo mentore. Ma l’esiguità della vittoria, un margine del tre per cento sul candidato dell’opposizione Branko Blanusa, apre scenari di carte bollate che si intrecciano con i timori europei in chiave allagamento.

REPUBLIKA SRPSKA NON UNA MINACCIA

Dichiarando la vittoria, Karan ha affermato che la Republika Srpska non rappresenta una minaccia per nessuno: “Continueremo da dove ci eravamo fermati, con maggiore forza”. Queste le sue prime parole: “Il popolo serbo e la Republika Srpska possono sopportare qualsiasi cosa, ma non hanno mai sopportato gli stranieri che pensano di poterli distruggere”. Chiaro il riferimento ai soggetti europei esterni che, secondo la vulgata di Dodik, non vedrebbero di buon occhio l’entità filorussa, aggiungendo che “la Repubblica Serba non rappresenta una minaccia per nessuno, daremo a tutti coloro che vivono nella Repubblica Serba ancora più forza per vivere in una Repubblica Serba bella e buona”. Lo stesso Dodik è stato protagonista di una costante posizione separatista in Bosnia-Erzegovina, per questa ragione ha più volte detto di non riconoscere l’Ufficio dell’Alto Rappresentante, nato dopo l’accordo di pace di Dayton che pose fine alla guerra del 1992-1995 nel paese, di cui oggi cadono i 30 anni. Lo scorso febbraio il Tribunale della Bosnia-Erzegovina ha deciso di condannare a 13 mesi di carcere Dodik e a sei anni di interdizione dalle cariche politiche: la motivazione si ritrova nella sua volontà di non tener conto delle decisioni dell’Alto Rappresentante Christian Schmidt. Lo scorso agosto, inoltre, la corte d’appello ha confermato l’interdizione di sei anni per cui Dodik è stato rimosso dal suo incarico di presidente della Repubblica Serba.

KARAN, DAGLI 007 ALLA POLITICA

Per 20 anni Karan è stato impegnato tra i ranghi della polizia e dell’intelligence, per poi incassare un dividendo di primaria importanza nel campo politico, grazie alla vicinanza con Dodik: è stato infatti ministro per lo Sviluppo scientifico e tecnologico nell’ultimo governo. In precedenza nel 2008 è stato consigliere per la sicurezza del Presidente della Repubblica e dal 2009 al 2019 ha ricoperto la carica di Segretario Generale del Presidente. Successivamente, fino a dicembre 2022, è stato Segretario Generale del Governo, quando è stato nominato ministro degli Interni. Non solo rose nel suo curriculum, ma anche spine: secondo il Dipartimento delle Finanze degli Stati Uniti, Karan faceva parte del gruppo di lavoro formato nel 2024 per elaborare un piano per la secessione della RS dalla Bosnia ed Erzegovina.

Per cui fino a poco tempo Karan figurava nella black list del Dipartimento del Tesoro statunitense. Ora invece è libero e immacolato per cui, verosimilmente, proverà ad avere una posizione conciliante con l’amministrazione Trump. L’obiettivo infatti è arrivare alle elezioni del prossimo ottobre con un supporto americano anche al fine di disinnescare la fortissima instabilità nel costone balcanico data sia dalla stessa Republika Srpska, che dalla contrapposizione mai sopita fra Serbia e Kosovo. Una polveriera in cui una singola (anche se piccola) nuova miccia potrebbe impattare con effetti altamente negativi.


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