Al netto della tregua raggiunta due settimane fa in Corea del Sud, gli Stati Uniti continuano a creare i presupposti per fonti di approvvigionamento di minerali sfuggite ai tentacoli cinesi. Un piano B che rischia di diventare un piano A
Una tela, che prende forma e corpo, un intreccio dopo l’altro. Donald Trump forse non si fida poi così tanto dell’accordo con la Cina portato a casa alla fine di ottobre. Il dividendo geopolitico c’è tutto, certo, se non altro perché Washington ha portato a casa la ripresa delle forniture di metalli critici, fondamentali per la tenuta delle industrie della Difesa e della tecnologia. E le stesse Borse, hanno applaudito all’intesa. L’onda lunga della tregua tra prima e seconda economia mondiale racconta, poi, della sospensione, proprio questa domenica, da parte di Pechino del divieto di esportazione verso gli Stati Uniti di gallio, germanio e antimonio. Metalli rari cruciali per l’industria moderna.
Una decisione che si inserisce nel clima di rinnovata collaborazione seguito all’incontro del 30 ottobre in Corea del Sud tra il presidente cinese Xi Jinping e quello statunitense, un faccia a faccia che ha contribuito ad allentare le tensioni che da mesi gravavano sull’economia mondiale. Ora, fondamentali per numerose tecnologie (dai semiconduttori ai pannelli solari, dalle fibre ottiche ai sistemi a infrarossi) questi metalli, pur non appartenendo alla categoria delle terre rare, sono strategici nella corsa al primato tecnologico globale, con il Dragone resta oggi uno dei principali produttori mondiali di gallio e germanio.
Eppure non basta, Washington vuole la sicurezza materiale che i suoi approvvigionamenti di terre rare non saranno appesi agli umori cinesi e alle strette di mano. Così si spiega la tela di Trump. Partendo da un presupposto: gli Stati Uniti hanno bisogno di magneti in terre rare per costruire di tutto, dai caccia alle turbine eoliche. Per questo, al netto delle intese con la Cina, l’America sta portando a casa tutta una serie di accordi con Paesi terzi. Con l’obiettivo di andare oltre i rapporti di buon vicinato con la Cina stessa. Per esempio, proprio in occasione del viaggio in Asia, Trump ha firmato tre accordi sui minerali essenziali, prima di incontrare Xi in Corea del Sud.
Di più. Solo nelle ultime 72 ore, l’amministrazione a stelle e strisce ha annunciato un investimento di 1,2 miliardi di dollari in due startup che si occupano proprio di terre rare, oltre a stringere un’intesa sui minerali essenziali con il Kazakistan, che possiede un’abbondanza di minerali e ha recentemente annunciato un’enorme scoperta di terre rare. Ancora, di miniere strategiche si è parlato nei colloqui di Trump con l’Argentina in occasione della discussione sul maxi prestito americano che ha evitato a Buenos Aires l’ennesimo default, nei colloqui di pace con l’Ucraina e nei negoziati commerciali con paesi come Australia, Brasile e Giappone. E poi c’è sempre la Groenlandia, con la sua immensa ricchezza mineraria.
Insomma, l’America si muove anche per conto proprio sulle materie strategiche. Nelle scorse settimane, altro esempio, il governo degli Stati Uniti è diventato il principale azionista dell’unica miniera di terre rare negli Usa.
















