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Trump non cambia idea. Nessun chip avanzato andrà in Cina

Intervistato dalla Cbs, il presidente americano rinnova la sua contrarietà a cedere semiconduttori di ultima generazione a Pechino, come i Blackwell di Nvidia. Il motivo è semplice: non dilapidare il vantaggio sull’AI. Ma per potenziare il made in Usa, trovare un punto di incontro con la seconda economia al mondo appare necessario

La risposta di Donald Trump rimane la stessa: “No”. Intervistato dal programma 60 Minutes della Cbs, il presidente americano ha ribadito la sua contrarietà a vendere i chip più avanzati di Nvidia alla Cina e ad altri Paesi. “Non glielo permetteremo”, assicura pur sottolineando che lascerà trattare la società di Jensen Huang. Ma non su strumenti altamente strategici. Il motivo è piuttosto intuitivo. Anche se “non vincerebbero necessariamente” la partita sull’intelligenza artificiale, sicuramente dei semiconduttori come i Blackwell permetterebbero a Pechino di “pareggiare” il divario.

“In questo momento stiamo vincendo perché produciamo elettricità come mai prima d’ora, consentendo alle aziende di produrre le proprie elettricità, che è stata una mia idea a cui nessuno, francamente, aveva pensato”, si vanta Trump con la giornalista Norah O’Donnell. A rispondergli indirettamente è però il ceo di Microsoft, Satya Nadella, che nel corso della sua intervista al podcast Bg2 Pod  – registrata insieme all’omologo di OpenAI Sam Altman – ha posto l’accento sulla produzione di energia e non sulla disponibilità dei semiconduttori per parlare del “problema maggiore legato all’IA. Per Trump non è così: “In questo momento siamo in testa alla corsa dell’intelligenza artificiale con un margine di vantaggio notevole. Siamo in testa con numeri che la gente non immagina. È stato davvero grandioso. Ci siamo spinti molto, molto lontano. La corsa all’intelligenza artificiale è una cosa seria”. Il tycoon offre anche alcuni numeri e prospettive. “Entro due anni, controlleremo il 40% o il 50% del mercato dei chip. Quello che sta accadendo è che le aziende più grandi stanno lasciando Taiwan, stanno entrando negli Stati Uniti per via dei dazi. Se non ci fossero i dazi, non lo farebbero. Penso che tra due anni inizieremo ad aprire nuovi stabilimenti. Al momento non ne abbiamo quasi nessuno”, dice lanciando una stoccata ai suoi predecessori: “Se avessimo avuto presidenti che capissero qualcosa di economia o sapessero cosa stavano facendo. Abbiamo perso il 50% del nostro business automobilistico, abbiamo perso il 100% del mercato dei chip” che “prima era tutto di Intel e altre aziende. Sono arrivati altri paesi e ci hanno rubato il business dei chip e non abbiamo applicato dazi. Se avessimo imposto, diciamo, una tariffa del 100%, nessuna di quelle aziende se ne sarebbe andata. Ma se ne sono andate tutte. Ora stanno tornando, perché l’unico modo per evitare le tariffe è costruire nel nostro Paese”.

La panoramica di Trump serve per comprendere meglio il perché voglia tenersi stretto il Blackwell. Secondo il repubblicano John Moolenaar, presidente della Commissione speciale della Camera sulla Cina, dare quei chip a Pechino sarebbe come “fornire uranio all’Iran per scopi militari”. Un suicidio che l’America non può permettersi. Il discorso di Trump però sembra escludere chiunque, sia i rivali sia i partner. Da vedere dunque come andrà a finire la consegna di 260mila Blackwell alla Corea del Sud, annunciata da Nvidia giusto venerdì scorso.

C’è però un nodo alla base di tutto, sottolineato dallo stesso Huang. Nonostante Trump voglia ridurre l’export verso Pechino e sebbene le autorità cinesi abbiano messo gli occhi su Nvidia aprendo diverse indagini, se la Casa Bianca vuole rendere di nuovo grande il made in Usa allora c’è bisogno di liquidità per finanziare la ricerca e quindi lo sviluppo tecnologico. E dunque c’è necessità di trovare una quadra con la seconda economia del mondo.


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