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I nuovi imperativi geopolitici nell’era del cyberspazio. L’analisi di Preziosa

Il cyberspazio è diventato la nuova frontiera del potere globale, dove la sovranità non si misura più sui confini ma sul controllo di dati, algoritmi e narrazioni. La competizione geopolitica si sposta dal territorio alla mente, chi governa connessioni e piattaforme modella percezioni, consenso e verità. In questo scenario, la sicurezza nazionale dipende da sovranità tecnologica, integrazione strategica e resilienza cognitiva. L’analisi di Pasquale Preziosa, già capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, membro esperto del Comitato scientifico Eurispes

Il cyberspazio ha assunto piena rilevanza geopolitica, costituendo una nuova dimensione del potere e ridefinendo le categorie tradizionali di sovranità, sicurezza e conflitto. Non è un ambiente immateriale, ma un’infrastruttura strategica globale che condiziona la competizione tra Stati, imprese e culture. La sicurezza nazionale dipende ormai dal controllo dei flussi informativi, dalla sovranità algoritmica e dalla resilienza cognitiva.

Nel XXI secolo, il dominio della mente e dei dati sostituisce quello dei territori: chi governa connessioni, piattaforme e narrazioni esercita la vera egemonia. L’analisi esplora la natura geopolitica del cyberspazio, la trasformazione della guerra in senso cognitivo e la necessità di nuovi imperativi strategici basati sull’integrazione tra tecnologia, cultura e potere politico.

Il cyberspazio rappresenta una nuova dimensione geopolitica, integrata e interdipendente rispetto a terra, mare, aria e spazio. Non è un semplice dominio tecnico, ma uno spazio strategico nel quale potere e sovranità si esprimono attraverso infrastrutture, dati e algoritmi. Il potere cyber-geopolitico ha inaugurato la forma più avanzata di conflittualità: il potere ibrido, dove componenti fisiche, informative e cognitive si fondono.

Il cyberspazio possiede una geografia concreta fatta di cavi sottomarini, satelliti, data center e cloud sovrani. Come nel passato i choke point marittimi determinavano la supremazia navale, oggi i nodi digitali definiscono l’influenza globale. La sovranità digitale in termini di data localization, standard tecnologici e governance normativa, è divenuta l’equivalente della sovranità territoriale. Chi controlla oggi protocolli e infrastrutture impone la propria visione del mondo.

La connettività è da sempre la matrice del potere: da Venezia alle reti globali dell’informazione. Internet ne rappresenta l’evoluzione cognitiva: ha abolito tempo e spazio, collegando menti, linguaggi e narrazioni. Chi governa le connessioni non domina solo mercati o dati, ma percezioni e consenso, che costituiscono la base del potere politico. Nel cyberspazio, ordinare l’informazione significa orientare il pensiero. Google, con oltre il 90% delle ricerche mondiali, mostra come la visibilità determini la verità sociale: ciò che appare è ciò che conta.

La superiorità militare tradizionale non è più sufficiente a garantire la sicurezza. La guerra contemporanea è ibrida, multidimensionale e cognitiva, fondata sul controllo di informazione, intelligenza e decisione. L’Intelligenza artificiale militare rappresenta oggi il nuovo fondamento della deterrenza: chi integra meglio algoritmi e sistemi complessi di comando e controllo definisce l’ordine strategico globale. La competizione Usa–Cina per la supremazia algoritmica segna il passaggio da un sistema territoriale a un ordine digitale dell’apprendimento, in cui la velocità cognitiva decide la vittoria.

L’Intelligenza artificiale, il machine learning e l’iperconnessione stanno riscrivendo i processi di civilizzazione. L’uomo è diventato superficie d’attacco cognitiva: prevedibile, manipolabile, vulnerabile. La sicurezza nazionale richiede quindi resilienza cognitiva, formazione critica e difesa della verità condivisa. La guerra ibrida si trasforma in guerra cognitiva che rappresenta un conflitto permanente per il dominio della percezione. Come mostra la guerra informativa in Ucraina, controllare la narrazione precede il controllo del territorio.

Il principio di anentropia cognitiva (Hartley e Jobson, 2019) descrive la capacità dei sistemi tecnologici di creare ordine contro il disordine sociale. L’Intelligenza artificiale incarna tale tendenza perché è in grado di organizzare sia  l’economia sia la politica su nuove scale di complessità e predittività. Nasce così la sovranità algoritmica, ossia il potere di mantenere ordine attraverso l’automazione dei processi decisionali. Questo potere, pur efficiente, rischia di comprimere la libertà cognitiva e la pluralità interpretativa. La sfida geopolitica del secolo è dunque governare l’anentropia, mantenendo equilibrio tra calcolo e coscienza, efficienza e libertà. L’età digitale ha quindi fatto gemmare nuovi imperativi geopolitici per la Sicurezza della nazione e dello stato.

La sicurezza nazionale si fonda oggi su tre imperativi strategici: l’Integrazione delle quattro leve del potere statale ovvero: diplomatico, informativo, militare ed economico in una visione unitaria della potenza; la sovranità tecnologica, per garantire indipendenza da infrastrutture e piattaforme esterne; la Resilienza cognitiva, per difendere la coesione sociale e la verità condivisa.

Il potere globale oggi si misura nella capacità di dominare reti e algoritmi e chi governa i flussi informativi plasma la realtà. La sovranità digitale rappresenta oggi la forma più alta della sovranità politica contemporanea.

Il potere del XXI secolo non risiede più solo nella forza materiale, ma anche nella capacità di orientare la mente. Difendere la mente sia individuale sia collettiva,  equivale oggi a difendere la libertà stessa. Le potenze digitali non dominano territori, ma attenzione, emozione e percezione. Solo le società capaci di integrare etica, tecnica e cultura potranno governare l’ordine digitale senza subirlo. Come ammoniva Norbert Wiener, “governare la macchina significa, prima di tutto, governare se stessi”. Nel mondo dove la storia si scrive nei codici più che nei trattati, la sovranità cognitiva è la forma suprema della libertà politica.


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