Da due mesi Pechino non concede più finanziamenti all’industria automobilistica. Ma è solo una pausa di riflessione, perché ora l’obiettivo del Dragone è sostenere comparti di ultima generazione. Per questo l’Occidente non deve cadere nella trappola. Mentre Xi torna a caricare le imprese di Stato
Morto un sussidio se ne fa un altro. L’inarrestabile avanzata dell’auto cinese, guidata dall’ascesa di Byd, che ha messo a soqquadro l’intero mercato occidentale, ha un’origine ben precisa: i mastodontici sussidi statali concessi dal governo cinese ai costruttori nazionali. Soldi che hanno permesso alle case del Dragone di produrre al triplo della velocità e vendere veicoli a prezzi ben al di sotto dell’asticella della concorrenza. In poche parole, di non giocare secondo le regole. I risultati si sono visti, soprattutto in Europa. Ora, quei sussidi sono finiti, inghiottiti dall’ultimo piano quinquennale messo a punto da Pechino e che risuona come una sentenza: basta denari ai costruttori, ora che le loro linee produttive sono attrezzate per vincere ogni sfida, dimostrino quello che sanno fare.
Tutto finito? Ritorno alla normalità, al libero mercato e le sue regole? Nemmeno per sogno. Perché di sussidi ne arriveranno altri, solo che non andranno a sostenere l’industria dell’auto, bensì nuove frontiere della competizione: tecnologia quantistica e Intelligenza Artificiale. Ed è proprio questo l’errore che l’Occidente non deve commettere: pensare che finiti i sussidi alle quattro ruote, il canovaccio non possa ripetersi per altre industrie. La concorrenza, in buona sostanza, verrà presto violata ma su altri fronti.
Intelligenza artificiale, energia, idrogeno, comunicazioni 6G, quantistica. Ben presto, queste industrie riceveranno lo stesso trattamento preferenziale e gli stessi finanziamenti che hanno inondato l’industria automobilistica. Per questo, prima che l’Occidente si ritrovi ad accusare la Cina di eccesso di capacità produttiva nei suoi prossimi settori prioritari, ci sono delle strategie concrete che, in primis, gli Stati Uniti dovrebbero prendere in considerazione. A cominciare dal coordinamento tra alleati, assolutamente necessario per contrastare la nuova futura miccia cinese. E anche gli Stati Uniti dovrebbero giocare d’anticipo. Washington dovrebbe, per esempio, dare priorità alla connessione tra la ricerca finanziata a livello federale, i laboratori universitari e percorsi di commercializzazione. Basterà? Lo si capirà nei prossimi mesi, quando la Cina ricomincerà a pompare soldi dentro le sue industrie. E qualche avvisaglia, a dire il vero, già si registra.
Proprio in queste ore, il presidente cinese Xi Jinping ha chiesto alle grandi imprese statali centrali di fungere da pilastro dello sviluppo nazionale, sollecitandole a guidare l’aggiornamento industriale e a garantire il controllo delle tecnologie critiche nella prossima fase di crescita del Paese. “Le imprese statali centrali devono riconoscere pienamente le responsabilità e le missioni che si assumono e servire meglio le priorità generali del partito e dello Stato”, ha affermato Xi in un messaggio indirizzato a una riunione dei vertici delle aziende statali centrali svoltasi a Pechino.
L’indicazione arriva in una fase considerata cruciale per l’economia cinese, nell’ultimo anno del 14mo piano quinquennale e alla vigilia del 15mo, che coprirà il periodo 2026-2030, mentre Pechino punta a sostenere lo sviluppo in un contesto segnato da crescenti tensioni geopolitiche, dalla guerra commerciale e dalla competizione tecnologica con gli Stati uniti. Xi ha invitato le imprese a concentrarsi sui loro settori principali, a rafforzare la competitività e a ottenere “progressi decisivi nelle tecnologie chiave”, chiedendo anche un miglioramento delle capacità di gestione per trasformare le aziende statali in gruppi di livello mondiale e tutelarne uno sviluppo stabile.
Le imprese statali e il capitale pubblico, che Pechino intende rafforzare nei prossimi cinque anni, restano un elemento centrale del sistema socioeconomico cinese, soprattutto nei settori strategici e in quelli legati ai servizi essenziali. Alla fine del 2024, le imprese statali centrali detenevano asset per 91mila miliardi di yuan, circa 13mila miliardi di dollari, con una crescita media annua del 7,3% dal 2021. Ogni anno spendono oltre 15mila miliardi di yuan (2.132 miliardi di dollari) in acquisti, sostenendo direttamente circa due milioni di imprese lungo la filiera, secondo i dati della Commissione per la supervisione e l’amministrazione dei beni statali.
















