Il dibattito sul possibile ritorno della leva riemerge anche in Italia, mentre diversi Paesi europei sperimentano nuovi modelli di servizio militare. Tra volontarietà, riserve tecnologiche e impieghi territoriali, prende forma l’ipotesi di un modello italiano. Sullo sfondo, le tensioni evidenziate dal caso dell’università di Bologna. L’intervista di Airpress al generale Luca Goretti
Infine, anche in Italia si è cominciato a parlare della possibilità del ritorno della leva militare. Il dibattito, già in corso da tempo negli altri Paesi europei, si apre in un momento complesso per l’opinione pubblica italiana, proprio mentre la vicenda legata all’università di Bologna ha nuovamente riacceso i riflettori sulla percezione della Difesa e delle Forze armate tra i cittadini. Airpress ne ha parlato con il generale Luca Goretti, già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare.
Generale, negli ultimi mesi diversi Paesi europei hanno avviato o stanno valutando forme di reintroduzione del servizio militare, da programmi volontari a vere e proprie leve formali. In Italia, la discussione è stata aperta negli ultimi giorni. Come dovremmo approcciare il tema a suo avviso?
Il tema del servizio militare, sia esso volontario o di leva, sta piano piano emergendo sempre più a causa di situazioni geopolitiche che ormai da alcuni anni interessano il nostro Continente (impensabili solamente una quindicina di anni fa) e mettono in risalto un cambiamento reale dei potenziali scenari che potrebbero vedere coinvolte le nostre popolazioni. Sono riflessioni importanti, che non possono essere a mio avviso trattate superficialmente in quanto segnano inevitabilmente la nostra stessa quotidianità e coinvolgono a vario titolo tutti noi, sia chi deve individuare gli strumenti legislativi idonei sia chi questi strumenti li dovrà impiegare in prima persona. Sono scelte, come ha giustamente sottolineato il ministro della Difesa, che riguardano il Paese nella sua interezza, la sua popolazione, la volontà stessa di essere una nazione. Il tema è importante e andrebbe trattato come tale, scevro da qualsiasi atteggiamento politico o di comodo in quanto tocca intrinsecamente la nostra stessa esistenza.
La Francia, ad esempio, ha annunciato dal 2026 un servizio volontario di dieci mesi per i giovani tra i 18 e i 19 anni, da svolgersi sul territorio nazionale. Che ne pensa?
Ogni nazione analizza innovazioni o assicura l’introduzione di servizi tenendo presente la propria storia, la propria strategia geopolitica e soprattutto la propria realtà sociale e culturale. Sarebbe un errore considerare pedissequamente una scelta operata da un Paese come migliore rispetto ad un’altra. Se la Francia ha deciso che sia più utile (e forse più rapido?) introdurre un servizio volontario valido per tutti i giovani tra i 18 e i 19 anni avrà sicuramente valutato questo percorso come quello più immediato da attuare e soprattutto quello più efficace per assicurare una consapevolezza della situazione geopolitica in atto da parte della popolazione giovanile, che sovente appare (o potrebbe essere percepita come tale) distratta da ciò che sta accadendo intorno a noi. La volontarietà servirà soprattutto per comprendere quanto la popolazione dei ventenni sia sensibile al tema che stiamo trattando.
In Germania invece verrà introdotto un sistema di registrazione dei giovani al compimento dei 18 anni, con la possibilità di attivare la leva obbligatoria in seguito e tramite una legge specifica. Come valuta questo approccio a due fasi?
È un’ulteriore possibilità tra le molteplici che possono essere introdotte. In questo caso si è optato per un censimento della popolazione di quella fascia di età per poi comprendere, qualora necessario, come attuare una scelta immediata, benché inizialmente volontaria, che attraverso una legge mirata consenta di incrementare rapidamente un bacino di potenziali “augmentees” da affiancare ai militari professionisti che compongono il comparto della Difesa. Anche qui la scelta è a mio avviso dettata dalla realtà socio-culturale nazionale esistente. La Germania in passato ha ridotto sensibilmente, per scelte politiche, sia il numero del personale militare professionista sia il proprio impegno in campo internazionale e solo da poco sta cercando di modificare questo atteggiamento. Per questo ritengo che, rispetto ad esempio a quanto sta avvenendo in Francia, la sensibilità politica interna su questo tema abbia richiesto un diverso approccio sistemico.
Tornando al nostro Paese, il ministro Crosetto ha detto che intende proporre al Parlamento una bozza di disegno di legge a riguardo. Ritiene che l’Italia necessiti di misure di questo tipo? Quale potrebbe essere un “modello italiano”?
Ribadendo ciò che ha detto il ministro Crosetto, se la percezione di ciò che potrebbe accadere in futuro è di una minore sicurezza non si può rimandare una riflessione su come debba essere affrontata questa eventualità. E normalmente queste riflessioni devono poi confluire in uno strumento normativo che consenta successivamente l’attuazione pratica di quanto identificato. Non si può “restare a guardare” una realtà che fa riflettere ogni giorno con fatti concreti quanto sia labile e sottile il divario esistente tra pace, libertà e guerra. Già i latini dicevano che se vuoi assicurare la pace devi prepararti alla guerra, e mai come ora la deterrenza rappresenta, unita alla diplomazia, uno strumento indispensabile per assicurare che la nostra libertà sia costantemente salvaguardata. Non possiamo stare fermi, la situazione geopolitica è in costante fermento e una riflessione va assolutamente fatta. Se non altro per onorare tutti coloro che nel tempo, perdendo anche la propria vita, hanno consentito a noi oggi di vivere in pace e di vivere la nostra esistenza serenamente. Il modello “nazionale” di “leva volontaria” potrebbe vedere innanzitutto una fascia di persone che volontariamente possano entrare a far parte di un bacino di “riserve ausiliarie” che, attraverso la professionalità che questo bacino può offrire, possa incrementare quei settori tecnologici dove la competenza può fare la differenza. Questo bacino andrebbe formato e addestrato periodicamente per poter essere impiegato in compiti territoriali di difesa e sicurezza interna, lasciando ai militari professionisti i compiti legati agli impegni internazionali o in aree di crisi. Si assicurerebbe in tal modo un adeguato turnover per il personale impegnato fuori dai confini nazionali mentre questo “bacino di riservisti” potrebbe contestualmente operare sul nostro territorio difendendo o meglio predisponendosi a difendere il proprio Paese in caso di necessità. Potrebbe anche incrementare quel senso civico di appartenenza che viene da molti percepito “debole” soprattutto nella fascia della popolazione giovane. Analogamente, anche in caso di interventi imprevisti dovuti a calamità naturali, questo bacino potrebbe senza ombra di dubbio portare un efficace contributo nel supporto logistico e tecnico nelle aree colpite.
Come sappiamo in Italia, più che in altri Paesi, la Difesa è spesso un tema controverso per l’opinione pubblica. Lo si è visto con l’università di Bologna, che ha negato l’attivazione di un corso per i militari dell’Esercito. Come considera l’accaduto?
Il tema della Difesa è sempre stato un tema difficile da trattare perché inevitabilmente porta con sé retaggi del passato che, proprio perché del passato, andrebbero oggi affrontati con una visione differente e più legata alla realtà che quotidianamente viviamo. Questi stereotipi come sempre sono utili per chi non intende accettare che i tempi cambiano, le situazioni evolvono e le condizioni al contorno richiedono riflessioni più accorte. Talvolta alcune scelte, come quella operata dall’ateneo bolognese, o più in particolare dal Dipartimento di Filosofia, lasciano basiti perché riportano a situazioni che ritengo siano ormai superate da tempo. In fin dei conti molti altri Atenei hanno da moltissimi anni accettato l’attivazione di corsi per militari o adattato loro percorsi interni per le esigenze del comparto e la decisione bolognese suona in maniera completamente diversa da quanto ci si poteva attendere. Sono convinto che si tratti di un episodio isolato (sicuramente fa riflettere!) e che si potrà risolvere positivamente. Ma anche questo episodio ci consente nuovamente di rimarcare quanto sia importante che le riflessioni sul nuovo modello di Difesa che il ministro Crosetto ha intenzione di proporre siano vagliate con la dovuta attenzione e soprattutto come Paese e non solo come una esigenza di maggioranza.
















