La Cucina Italiana è diventata oggi ufficialmente patrimonio culturale immateriale dell’umanità. Pubblichiamo il contributo di Franco Nuschese, proprietario di Cafe Milano e presidente del Georgetown entertainment group, sul ruolo della cultura del cibo italiano nel mondo. “L’Italia con la sua tradizione di accoglienza e di condivisione, ha in questo senso un dono naturale: attraverso il cibo, parla di bellezza ed eleganza”
A Washington, le grandi decisioni nascono spesso lontano dai palazzi del potere. Da oltre trent’anni, Cafe Milano è uno di quei luoghi in cui le distanze si accorciano e le idee trovano un terreno comune. Dal 1992, la sua vocazione è sempre stata chiara. E non avrebbe potuto essere altrimenti, visto che abbiamo messo radici in una città peculiare, dove la politica non è solo istituzione ma anche conversazione quotidiana.
Scegliendo la capitale dove tutto cambia – le amministrazioni, le maggioranze al Congresso – ho sempre saputo che una cosa però resta immutata: il bisogno di un luogo bipartisan, discreto e protetto. Fin dall’inizio immaginavo uno spazio d’incontro, non solo un ristorante. Insomma, ho voluto creare un posto in cui la qualità del cibo si accompagnasse al piacere del dialogo, all’amicizia, alla condivisione di idee e di visioni. Penso che sia proprio questo il senso più profondo di Cafe Milano, ovvero la sua capacità di creare queste occasioni, di favorirle e di assecondarle.
Qui repubblicani e democratici possono sedersi allo stesso desco, parlare di politica interna o internazionale, bevendo un bicchiere di vino e magari trovando un punto di raccordo. Le relazioni diplomatiche in senso ampio, in fondo, iniziano sempre con un gesto semplice di condivisione. Forse è per questo che, negli anni, tutti i presidenti americani, da Bill Clinton in poi, con la sola eccezione di Donald Trump, hanno scelto di cenare a Cafe Milano, attratti da quel mix unico di accoglienza e riservatezza che fa nascere conversazioni sincere. Recentemente, poi, abbiamo vissuto una coincidenza davvero straordinaria: ospitare nello stesso momento due ex inquilini della Casa Bianca, Joe Biden e Barack Obama; senza dimenticare tre membri del gabinetto Trump, seduti tra i vari tavoli. In perfetto equilibrio bipartisan.
Non amo fare elenchi, ma posso dire che in un trentennio siamo stati fortunati ad accogliere alcune tra le figure più importanti della politica internazionale. Tra queste, mi piace ricordare Mohammed bin Zayed Al Nahyan, presidente degli Emirati Arabi Uniti, Paese a cui sono molto legato (abbiamo una location di Cafe Milano ad Abu Dhabi). Mi pregio di poterlo chiamare “amico” e devo dire che è una delle persone che più ammiro: per la sua visione, la sua intelligenza e soprattutto per l’incredibile umanità. Con altrettanto orgoglio ricordo Giorgio Napolitano, Sergio Mattarella e Giorgia Meloni, tre espressioni diverse che rappresentano il meglio dell’italianità. La grammatica della diplomazia, in fondo, si declina anche nel linguaggio del cibo. La gastronomia esprime identità, valori e, talvolta, persino una visione del mondo. In un piatto non ci sono solo ingredienti: ci sono storia, cultura e memoria. Credo profondamente che sia il terreno più fertile per un dialogo autentico, libero da sovrastrutture.
Se la diplomazia ufficiale è quella che firma gli accordi, è a tavola che si costruisce la fiducia. L’Italia, con la sua tradizione di accoglienza e di condivisione, ha in questo senso un dono naturale: attraverso il cibo, parla di bellezza ed eleganza. E Cafe Milano, con estrema umiltà, aspira proprio a questo: essere un crocevia di mondi, dove ogni giorno si esercita una forma di diplomazia discreta, informale. Del resto, come insegnano i grandi fatti della storia, è spesso il soft power – dalla cucina allo sport, dalla cultura all’arte – a determinare risultati efficacissimi.








