Il nuovo “grande gioco” per la ridefinizione degli equilibri globali in buona parte ha e avrà luogo nell’Artico. Gli europei possono e debbono non rimanerne esclusi. La riflessione di Luciano Bozzo
Tra le tante, sorprendenti dichiarazioni rilasciate da Donald Trump sin dai primi mesi della sua seconda presidenza quelle su Canada e Groenlandia sono tra le più clamorose. Lo scorso 23 dicembre il presidente ha nuovamente affermato la necessità per gli Stati Uniti di acquisire il controllo della Groenlandia e nominato quale inviato speciale incaricato della questione Jeff Landry, governatore della Louisiana.
Simili esternazioni hanno almeno un merito: portare all’attenzione del pubblico internazionale la crescente rilevanza economica, politica e strategica dell’intera regione artica, ma non solo. Il riscaldamento climatico globale, particolarmente sensibile nelle regioni polari, l’attivismo economico e politico-strategico delle nuove grandi potenze mondiali (Cina e India) e la stessa guerra in Ucraina, hanno fatto dell’Artico un nuovo spazio aperto alla competizione, economica e strategica.
Da una decina d’anni la regione è menzionata nei piani quinquennali e nei documenti sulla sicurezza nazionale cinesi. La cosa non deve sorprendere. Per mantenere un tasso di crescita annua sufficiente ad alimentare le rispettive ambizioni globali, aumentando al contempo il tenore di vita di popolazioni di oltre 1,4 miliardi, Cina e India non possono ignorare le risorse artiche. Entrambi i Paesi sono parte del Consiglio artico, come l’Italia, e la Cina si definisce “a near-Arctic state”. Non minore è l’esigenza di guardare al Grande Nord degli Stati Uniti. Al contrario di Cina e Federazione Russa, il Paese non ha materie prime critiche sufficienti a sostenere il confronto in atto col suo primo rivale.
Le dichiarazioni di Trump del gennaio 2025, sull’opportunità per il Canada di divenire il 51° Stato della Federazione, e quelle reiterate fino a pochi giorni fa sulla Groenlandia, non sono semplici boutades. Le risorse, note o stimate, dell’isola sono enormi: petrolio, gas, terre rare, ma anche oro, platino, diamanti, rubini, uranio, molibdeno, titanio, nichel, vanadio, niobio, tantalio, zinco, ferro, grafite, rame, fluorite e altro ancora. Lo scioglimento dei ghiacci è in accelerazione e ciò renderà più semplici le prospezioni e lo sfruttamento dei giacimenti. Sebbene dal 1979 goda di un particolare statuto di autonomia, la Groenlandia resta sotto sovranità danese e rappresenta il 98% del territorio del regno.
La sua importanza non è solo economica. L’isola è un antemurale, una “portaerei naturale” ancorata al largo dell’America settentrionale. Nel 1951 un trattato di difesa concluso tra Danimarca e Stati Uniti concesse l’area di Thule, oggi Pituffik, agli Americani. La base lì costruita a partire dall’anno seguente ospita il Ballistic Missile Early Warning System (BMEWS), il cui scopo è rilevare l’eventuale lancio di missili balistici intercontinentali, determinando sito di partenza, traiettoria e punto d’impatto. La capacità di monitoraggio del sistema copre l’Artico, la Russia e giunge fino al Medio Oriente. È evidente la sua assoluta rilevanza a tutela degli interessi vitali americani.
Nel 2016 la Cina iniziò ad investire in Groenlandia e due anni dopo Pechino annunciò lo stanziamento di 15 miliardi di euro in cinque anni, per la costruzione di infrastrutture e di una base destinata a ricerche scientifiche. Inutile aggiungere che da quel momento l’attenzione per l’isola e le preoccupazioni americane sono progressivamente aumentate. Le roboanti dichiarazioni di Trump non fanno solo parte, perciò, di una strategia comunicativa diretta a compiacere l’elettorato Maga, tantomeno sono frutto di un carattere bizzarro. Né quelle esternazioni mirano, o mirano soltanto, a creare negli interlocutori internazionali la percezione di un attore imprevedibile, rendendo così difficile comprenderne le intenzioni.
Molto è stato detto e scritto sulle conseguenze dirompenti di simili esternazioni, ad esempio rispetto ai principi del diritto internazionale o sui rapporti con gli alleati. Le dichiarazioni del presidente americano gettano luce, tuttavia, su un aspetto non meno importante della politica internazionale contemporanea. Nella visione di Trump quest’ultima è un confronto tra “superstati”, in cui sono le dimensioni a risultare decisive, quelle fisiche (territorio e popolazione), ma soprattutto la disponibilità di risorse critiche e il controllo, diretto e indiretto, di territori-chiave strategici. Il leader russo mostra di condividere la medesima idea e questo spiega anche lo scetticismo di entrambi, se non l’aperta ostilità, nei confronti dell’Europa.
Il nuovo “grande gioco” per la ridefinizione degli equilibri globali in buona parte ha e avrà luogo nell’Artico. Gli Europei possono e debbono non rimanerne esclusi. Cinque degli otto membri a pieno titolo del Consiglio artico sono europei e la Groenlandia, con le sue immense risorse e la sua collocazione strategica, è parte (ancora) di uno Stato europeo
















