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Cancellare i simboli cattolici rende la società più fragile. Scrive Bonanni

Una comunità che rimuove la propria memoria diventa più docile, più manipolabile, più sola. L’Avvento, al contrario, invita a tenere gli occhi aperti. Non è nostalgia: è esercizio di libertà. Difendere la visibilità di croce e presepe significa difendere uno spazio di umanità. Toglierli non elimina i conflitti: elimina una bussola. L’opinione di Raffaele Bonanni

Il calendario segna Avvento, ma fuori dalle vetrine illuminate non è sempre festoso. Nel mondo, e sempre più spesso anche in Europa, la libertà religiosa viene colpita con modalità diverse ma convergenti.

In molti Paesi del mondo, soprattutto nel mondo non libero, la persecuzione è brutale e diretta: comunità cristiane sorvegliate, chiese incendiate, scuole e ospedali chiusi, credenti ridotti al silenzio o costretti a fuggire. Non parliamo di potere o di privilegi, ma di persone che pagano un prezzo alto per una fede vissuta come servizio, educazione, cura, mediazione sociale. La croce, ancora oggi, è considerata una colpa.

Accanto alla violenza esplicita si muove però un’altra strategia, meno rumorosa e più efficace: quella che punta a rendere irrilevante la fede. Non si reprime, si svuota; non si proibisce, si ridicolizza; non si censura, si isola. Il messaggio è chiaro: credi pure, ma non incidere, non disturbare, non proporre criteri che mettano in discussione il pensiero dominante. È una pressione culturale che agisce attraverso parole rassicuranti e formule apparentemente inclusive, ma che in realtà chiedono una resa preventiva: la rinuncia a dire che esiste una misura dell’umano che non dipende dal mercato, dalla moda o dal consenso.

Questa dinamica non è lontana dall’Italia. Anche qui prende forma un’azione subdola, che si manifesta nelle polemiche ricorrenti contro simboli come il crocifisso e il presepe, proprio quando il Natale si avvicina.

Non sono attacchi casuali: servono a testare fino a che punto una società è disposta a dimenticare le proprie radici per non creare “imbarazzo”. Eppure quei segni non impongono nulla. Il crocifisso non parla, non esclude, non discrimina. Sta lì come memoria di un’idea di uomo che ha cambiato la storia: la dignità di ciascuno, il valore del limite, la solidarietà con chi soffre.

Il cattolicesimo continua a infastidire non per ciò che detiene, ma per ciò che afferma. Ricorda che la persona viene prima del profitto, che la fragilità non è uno scarto, che il dolore non va rimosso. È un ostacolo a ogni normalizzazione dell’ingiustizia. Per questo viene spinto ai margini, trattato come un residuo del passato invece che come una risorsa civile.

Il presepe completa questo messaggio con una forza disarmante. Racconta un Dio che non conquista, ma si espone; che non domina, ma condivide; che entra nella storia dalla parte dei piccoli.

Cancellare questi simboli non rende la società più neutra o più giusta: la rende più povera e più fragile. Una comunità che rimuove la propria memoria diventa più docile, più manipolabile, più sola. L’Avvento, al contrario, invita a tenere gli occhi aperti. Non è nostalgia: è esercizio di libertà. Difendere la visibilità di croce e presepe significa difendere uno spazio di umanità. Toglierli non elimina i conflitti: elimina una bussola. E perciò è grande riflettere sul significato dell’Avvento, ed augurare a ogni nostro amico e conoscente il Buon Natale.


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