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Thailandia tra urne e cannoni. Al conflitto si aggiunge la crisi politica

La Thailandia si avvia verso elezioni anticipate all’inizio del 2026 dopo lo scioglimento del Parlamento deciso dal primo ministro Anutin. La mossa arriva in un momento di forte instabilità, segnato non solo dalla crisi politica interna, ma anche dalla ripresa degli scontri armati con la Cambogia

Non è solo la guerra a scombussolare quello che fu il Siam. Il Parlamento della Thailandia è stato infatti sciolto ufficialmente venerdì, aprendo la strada a nuove elezioni anticipate all’inizio del 2026, mentre il Paese è coinvolto in violenti scontri armati con la Cambogia lungo il confine conteso. La decisione è stata presa dal primo ministro Anutin Charnvirakul dopo aver ottenuto l’approvazione formale del re Maha Vajiralongkorn, entrata in vigore con la pubblicazione sulla Gazzetta Reale. Anutin aveva anticipato la mossa già nella serata di giovedì con un messaggio su Facebook in cui dichiarava di voler “restituire il potere al popolo”.

Contrapposizioni interne…

In base alla Costituzione, le elezioni dovranno tenersi tra i 45 e i 60 giorni successivi all’endorsement reale. Fino ad allora Anutin guiderà un governo ad interim con poteri limitati, che non potrà approvare un nuovo bilancio. Lo scioglimento della Camera dei Rappresentanti arriva in una fase delicata, segnata non solo dalla crisi politica interna ma anche da un’escalation militare con Phnom Penh legata a una disputa di confine di lunga data.

Anutin è in carica da appena tre mesi, dopo essere succeduto a Paetongtarn Shinawatra, rimasta al potere solo un anno prima di perdere l’incarico in seguito a uno scandalo esploso durante una precedente fase di tensioni con la Cambogia. La sua elezione a settembre era stata resa possibile dal sostegno del People’s Party, principale forza di opposizione, in cambio dell’impegno a sciogliere il Parlamento entro quattro mesi e a indire un referendum per la stesura di una nuova Costituzione da parte di un’assemblea costituente eletta.

Proprio la questione costituzionale è stata il detonatore della crisi. Il People’s Party, che detiene il maggior numero di seggi alla Camera e rappresenta il principale rivale del partito di Anutin, il Bhumjaithai, aveva annunciato l’intenzione di presentare una mozione di sfiducia dopo che i parlamentari di governo avevano sostenuto un disegno di legge di revisione costituzionale giudicato contrario allo spirito dell’accordo di settembre. Alla diffusione delle indiscrezioni sullo scioglimento imminente, i leader dell’opposizione hanno espresso la speranza che Anutin mantenga comunque l’impegno a organizzare un referendum costituzionale.

…accanto a crisi internazionali

Una crisi politica che si intreccia con il riaccendersi del conflitto armato al confine con la Cambogia. Dopo cinque giorni di combattimenti già registrati a luglio, le ostilità sono riesplose questa settimana, causando la morte di più di venti persone e lo sfollamento di centinaia di migliaia di civili su entrambi i lati della frontiera. L’esercito thailandese stima che siano stati uccisi 165 soldati cambogiani, cifra che Phnom Penh non ha confermato ufficialmente.

In questo contesto Anutin ha adottato una linea fortemente nazionalista e muscolare, dichiarando che la Thailandia continuerà a combattere finché non saranno garantite la sovranità e la sicurezza del Paese. Una postura che, secondo diversi analisti, potrebbe rafforzarne il consenso interno. Secondo il direttore del Center for Politics and Geopolitics di Thailand Future Napon Jatusripitak, la narrazione del leader come difensore dell’integrità territoriale ha momentaneamente messo in secondo piano le critiche per la gestione delle recenti inondazioni nel sud del Paese e per i sospetti legami con reti di truffe. Un’analisi condivisa anche dal politologo Purawich Watanasukh dell’Università Thammasat, secondo cui lo scioglimento del Parlamento in questa fase consente al Bhumjaithai di sfruttare il clima nazionalista generato dal conflitto.

Per ora gli Stati Uniti osservano con attenzione l’evolversi della crisi. Il presidente Donald Trump aveva già esercitato pressioni su Bangkok e Phnom Penh a luglio, minacciando la sospensione delle agevolazioni commerciali per ottenere un cessate il fuoco, effettivamente raggiunto poi in autunno. Il leader Usa ha ribadito nei giorni scorsi la volontà di mediare nuovamente e ha annunciato imminenti colloqui telefonici con i leader dei due Paesi. Anutin ha detto che parlerà con il presidente statunitense venerdì sera, per aggiornarlo sulla situazione lungo il confine.

L’eventuale ricorso a dazi punitivi contro le esportazioni thailandesi, nel caso di un mancato accordo, rappresenterebbe un duro colpo per un’economia già in difficoltà. In attesa delle elezioni, la Thailandia si trova dunque a gestire simultaneamente una campagna elettorale imminente, una riforma costituzionale controversa e una crisi militare che rischia di avere pesanti ripercussioni politiche ed economiche.


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