Il settimo incontro fra il presidente americano e il numero uno di Kyiv non ha partorito un accordo definitivo, ma avrebbe tuttavia cambiato la prospettiva dei negoziati con la presa d’atto delle condizioni essenziali dell’Ucraina per accettare di siglare un trattato di pace con la Russia. Molteplici gli aspetti emersi riguardo alla Casa Bianca e al Cremlino. L’analisi di Gianfranco D’Anna
Presentatosi da Trump in nome e per conto dell’Europa, Volodymyr Zelensky è riuscito, per il momento, a far naufragare a Mar-a-Lago le bellicose ambizioni conquistatrici di Vladimir Putin. Con una delle consuete giravolte che hanno caratterizzato il primo anno di presidenza dal rientro alla Casa Bianca, Donald Trump ha accettato il punto di vista del presidente ucraino e spiazzato il Cremlino, che ora dovrà assumersi l’onere di un ulteriore niet e soprattutto della prosecuzione di un conflitto che sta spingendo la Russia al collasso economico e militare.
Nella conferenza stampa dopo il colloquio di oltre un’ora fra le delegazioni di Washington e di Kyiv, Trump ha infatti fatto capire di concordare con la posizione di Zelensky sui punti essenziali dell’attuale snodo delle trattative: cristallizzazione del fronte del Donbass, con l’eventuale ricorso al referendum popolare in caso di ipotesi di cessione territoriale; la cogestione della centrale atomica di Zaporizhzhia; e soprattutto l’assicurazione di precise garanzie difensive da parte degli Usa e dell’Europa nei confronti dell’Ucraina.
Putin, che ha continuato a rifiutare la tregua nella solita telefonata a Trump prima del colloquio con Zelensky a Mar-a-Lago — tentativo di sgambetto già messo in atto alla vigilia del precedente vertice di ottobre alla Casa Bianca con il presidente ucraino — si ritrova ora con Inghilterra, Francia, Germania, Italia e gli altri Paesi europei, mai così compatti, schierati militarmente a difesa di Kyiv e praticamente con un piede già in Ucraina.
L’evidente ottimismo del vertice di Mar-a-Lago rappresenta una pessima notizia per il Cremlino, perché sottintende che, in presenza di un rifiuto di Mosca a prendere in considerazione le condizioni concordate fra Trump e Zelensky, gli Usa, la Nato e l’Europa incrementeranno il sostegno militare ed economico all’Ucraina e le consentiranno di resistere per un tempo indefinito agli attacchi dell’armata russa. Tempo, soldati, armamenti e risorse economiche che invece Mosca sta per esaurire.
Diversi sono i fattori che hanno determinato il cambiamento di posizione del presidente americano, che, dopo tutta una serie di veri e propri flirt diplomatici con Mosca e di accesi attacchi all’Europa, sembra aver mollato Putin e rinsaldato i legami con Bruxelles.
A parte la considerazione che il grande successo di una rapida conclusione della guerra in Ucraina consentirebbe al tycoon di scrollarsi di dosso lo scandalo Epstein, il presidente americano non ha potuto ignorare il peso dell’unanime schieramento dell’Europa, della Nato, del Regno Unito, del Canada, dell’Australia e della Nuova Zelanda, cioè dell’intero schieramento occidentale, a favore di Zelensky e del popolo ucraino. Impossibile ignorare o addirittura osteggiare tutti gli alleati determinanti per Washington nel fronteggiare le egemoniche spinte militari ed economiche della Cina.
Come per Putin, inoltre, il tempo gioca a sfavore di Trump, sul quale incombe l’impatto potenzialmente disastroso dell’effetto domino provocato dal marasma economico dei dazi.
«Come stanno gli americani e, di riflesso, gli europei dopo un anno di Trump?» si sono chiesti Washington Post, New York Times, Wall Street Journal e Financial Times. Ecco in sintesi il quadro d’insieme: un’oncia d’argento (31,10 grammi) vale più di un barile di petrolio, deprezzando il dollaro, mentre l’oro sta raggiungendo la quotazione record di 5.000 dollari l’oncia; nel 2025 sono fallite 717 grandi aziende statunitensi, il numero più alto dal 2010; si sono registrati il rallentamento del mercato del lavoro e una disoccupazione ai massimi da quattro anni; è in atto lo sconvolgimento del sistema commerciale globale che, con l’aumento vertiginoso delle tasse sulle importazioni, provoca l’exploit dell’inflazione.
Solo altri due presidenti degli Stati Uniti, scrive il New York Times, hanno avuto un bilancio annuale più catastrofico: Abraham Lincoln e Franklin Delano Roosevelt, che però incorsero rispettivamente nella guerra di secessione e nella Grande Depressione. Entrambi si salvarono vincendo la guerra.
Epilogo al quale vorrebbe giungere Donald Trump, se non altro fermando il conflitto che sta dilaniando l’Ucraina e l’Europa, per imprimere, con la ricostruzione e la conseguente colossale ripresa dei mercati mondiali, un rilancio esponenziale dell’economia americana.
















