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L’Italia taglia fuori il Dragone dal solare. La prima asta China free

Dopo aver provveduto ad escludere i produttori cinesi dalle gare per gli incentivi, il governo italiano ha assegnato oltre 1,1 gigawatt a società che non prevedono l’utilizzo di componentistica asiatica nei moduli

Dalle parole ai fatti, l’Italia mette alla porta la Cina e i suoi pannelli solari. Dopo aver deciso, la scorsa estate, di escludere i produttori cinesi di pannelli solari dalle gare per gli incentivi, arriva la prima asta interamente made in Europe. Roma ha infatti assegnato oltre 1,1 gigawatt di capacità a 88 progetti nella sua prima asta riservata esclusivamente a progetti solari realizzati senza apparecchiature prodotte in Cina, fissando un prezzo medio di 66,38 euro per megawattora. Secondo i dati dell’Agenzia per i servizi elettrici (Gse) italiana, la tariffa è superiore del 17% rispetto al prezzo medio di un’asta per le energie rinnovabili tenutasi all’inizio di quest’anno, che non prevedeva restrizioni sulla provenienza delle apparecchiature.

Ora, la gara, è questo è il dato, è tra le prime in Europa ad applicare criteri non basati sul prezzo e legati al Net-Zero Industry Act dell’Unione Europea, un pacchetto di misure che mira a ridurre la dipendenza dai componenti rinnovabili a basso costo provenienti dalla Cina. Secondo la società di consulenza Green Horse Advisory, oltre il 95% dei moduli solari installati nell’Unione europea è importato Le recenti aste italiane sulle energie rinnovabili, insieme all’assegnazione della capacità delle batterie, stanno attirando investimenti significativi, stimati in circa 10 miliardi di euro (12 miliardi di dollari), con molti progetti che stanno entrando nella fase di costruzione.

E se in Europa la Cina perde terreno sul solare, non è che in patria le cose vadano tanto meglio. Dopo anni di utili da record, l’industria dei pannelli fotovoltaici della Cina si ritrova improvvisamente in profondo rosso. Nel 2022 e nel 2023 il settore macinava profitti da record, ma nel primo semestre di quest’anno il fatturato è crollato del 23% e ben sei dei maggiori produttori hanno visto le perdite raddoppiare a 20,2 miliardi di yuan, circa 2,8 miliardi di dollari. Secondo Goldman Sachs il ritmo di produzione degli impianti è stato già tagliato al 54%, ma questo non basta a fermare l’emorragia.

Che cosa è successo? Molto semplicemente, è stata infranta la più banale delle leggi dell’economia: l’offerta ha superato la domanda e i prezzi sono crollati, erodendo i margini delle aziende. Lo scorso anno, infatti, la Cina ha prodotto pannelli fotovoltaici per l’equivalente di 588 GigaWatt, secondo i dati di Natixis, ben oltre la somma della sua domanda interna, pari a 277 GW e della domanda estera, di 174 GW. Dunque, il costo all’utente di ogni singolo pannello si è vertiginosamente ridotto, provocando le perdite in questione.


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