Dopo un altro fine settimana all’insegna dei negoziati, oggi Witkoff si reca a Mosca (prima di vedere Zelensky). Nonostante le dichiarazioni, però, le aspettative su una svolta immediata rimangono basse. Mosca gioca “sulle divisioni tra le due sponde dell’Atlantico, quindi sulla volontà statunitense di concentrarsi su altri obiettivi, per far sì poi che a pagarne le spese siano gli interessi ucraini e quelli europei”, commenta Marco Di Liddo, direttore del Centro Studi Internazionali
In queste ore l’inviato speciale del presidente statunitense Steve Witkoff è atterrato a Mosca, in quella che è la sua sesta visita presso la capitale russa dall’inizio di quest’anno, per svolgere un incontro faccia a faccia con il presidente russo Vladimir Putin a cui presenterà una versione rivista della proposta di pace originale elaborata (almeno formalmente) dagli Stati Uniti. Un incontro, quello tra Witkoff e Putin, che si tiene a poche ore di distanza tra il bilaterale di Miami in cui una delegazione ucraina si è confrontata con una delegazione statunitense sullo stesso piano di pace. Con risultati apparentemente positivi, anche se entrambe le parti coinvolte hanno specificato che sia necessario continuare a lavorare. Inoltre, sembra che subito dopo la sua visita a Mosca Witkoff vedrà direttamente il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, il quale ha con un certo ottimismo dichiarato che “non si è mai stati così vicini alla fine del conflitto come in questo momento”.
“Sicuramente l’attivismo diplomatico è apprezzabile, testimonia da parte di Europa, Stati Uniti e Ucraina la volontà di mettere il conflitto su un binario di risoluzione. Naturalmente con la fermezza dei principi del rispetto di quelle che sono le rivendicazioni ucraine nel cercare di evitare qualsiasi forma di riconoscimento o di premio dell’aggressore russo”, commenta per Formiche.net il direttore del Centro Studi Internazionali Marco Di Liddo. “Dall’altra parte invece c’è il Cremlino che è fermo ancora sulle sue posizioni, e che probabilmente non accetterà nessun tipo di piano che non riconosca almeno quattro punti centrali: le dimensioni ridotte delle forze armate ucraine, il riconoscimento de facto delle acquisizioni territoriali russe, lo sblocco degli asset russi congelati e quindi il reintegro graduale dell’economia russa nel circuito internazionale e in ultimo punto l’assenza di truppe straniere all’interno del territorio ucraino e l’integrazione dell’Ucraina nella Nato. Quindi da una parte c’è il tentativo di fare una proposta equilibrata al Cremlino e dall’altra invece c’è un’assoluta rigidità da parte di Mosca, il che fa pensare che le speranze di un esito positivo siano piuttosto ridotte”.
Non stupisce dunque che quello di oggi sia un vertice verso cui ci sono basse aspettative per raggiungere una svolta. Ma che rimane comunque molto importante, almeno secondo quanto detto dall’analista russo Ilya Grashchenkov al New York Times. “Le aspettative principali si riducono probabilmente al mantenimento di un canale di comunicazione ad alto livello durante questo periodo di crisi. Questo di per sé è considerato importante per evitare una pericolosa escalation”, ha dichiarato Grashchenkov, aggiungendo poi che, con la crescita russa vicina allo zero e il deficit di bilancio in aumento a causa dell’impennata delle spese militari, le tensioni economiche potrebbero costringere il Cremlino ad accettare alcuni compromessi in futuro. Ma al momento Mosca sembra ancora intenzionata a spingere il fronte avversario al cedimento, prima id dover cedere lei.
“L’approccio russo al negoziato è un approccio strumentale, la loro speranza è che alla lunga per sfinimento gli americani esercitino una pressione talmente forte sull’Ucraina e sull’Europa da spingerli ad accettare almeno le condizioni più importanti per Mosca. Questa è la partita del Cremlino: giocare sulle divisioni tra le due sponde dell’Atlantico, quindi sulla volontà statunitense di concentrarsi su altri obiettivi, per far sì poi che a pagarne le spese siano gli interessi ucraini e quelli europei”, suggerisce Di Liddo.
Per questo il Cremlino non diminuisce la pressione, esercitata insistendo con la campagna di bombardamento strategico contro le infrastrutture ucraine e cercando di massimizzare le conquiste territoriali. Nelle scorse ore lo stesso Putin, in occasione di una visita al fronte, ha annunciato che le truppe russe avessero preso il controllo dei due centri cruciali di Pokrovsk, nell’oblast di Donetsk, e di Volchansk, in quello di Kharkiv. L’Ucraina ha immediatamente smentito queste notizie, definendole come propaganda volta a influenzare il percorso negoziale.
“Pretendere l’annessione e il riconoscimento di quattro oblast che non si controllano interamente è una pretesa irrealistica e fuori anche dalla situazione del campo di battaglia. Al tempo stesso però i russi sanno che far coincidere le rivendicazioni con l’effettivo controllo del territorio è qualcosa che avrà bisogno di tempo, e ancora di decine di migliaia di morti. Se Luhansk e Donetsk sono sotto il controllo russo più o meno al 90 per cento, ancora circa un terzo del territorio di Kherson e Zaporizhia è nelle mani degli ucraini. E per Mosca conquistare quella porzione non sarà facile, sia perché nel caso di Kherson bisogna passare il fiume Dnepr, sia perché a Zaporizhia c’è da considerare una battaglia in un’area urbana, quindi non esattamente un’operazione semplice, soprattutto se si fa il paragone con gli enormi sforzi e le difficoltà che i russi hanno incontrato quando dovevano conquistare centri abitati molto più piccoli”, conclude Di Liddo.







