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L’Italia sarà la porta d’accesso del Golfo all’Europa. La promessa di Meloni dal Barhein

La chiave, particolarmente apprezzata dai leader presenti al vertice, è nella promozione ecumenica di forme proficue di dialogo e discussione tra identità diverse, così da “sostenere concretamente i percorsi di integrazione”. L’Italia può giocare un ruolo di primo piano, contando ad esempio su un hub cruciale come Trieste, il porto più a nord del Mediterraneo e lo storico accesso marittimo ai Balcani e al resto dell’Europa centrale e orientale. Il riferimento è alla costruzione del Blue Raman Cable, la dorsale marittima per collegare l’Europa all’India attraverso l’Italia, il Mediterraneo e la Penisola Arabica

L’obiettivo è ambizioso, ma lo erano anche l’ideazione del Piano Mattei e il cambio di paradigma dell’Ue sui migranti. Per cui Giorgia Meloni lo cerchia in rosso e lo dice apertamente a Manama: l’Italia può diventare per i Paesi del Golfo la vera porta d’accesso all’Europa, “dando un impulso ancora più forte a una cooperazione economica che oggi vale 35 miliardi di dollari l’anno, ma che non esprime ancora il vero potenziale della nostra relazione”.

Il presidente del Consiglio sceglie temi pregnanti e altamente strategici intervenendo al 46esimo Vertice del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg) in Bahrein. Non fosse altro perché convinta che il momento sia adesso: in primis per rafforzare l’asse con un paniere di nazioni assolutamente decisive nel futuro ordine mondiale, e al contempo per definire i contorni del ruolo che l’Italia vorrà giocare nel medio e nel lungo periodo. E allora si muove essenzialmente su due tracce: la forza della propria identità come utile leva della convivenza tra diversi, anticamera a quel multilateralismo 4.0 che trova una cornice imprescindibile nel pragmatismo di Palazzo Chigi; e la progettazione delle dinamiche future, che partono già di buona leva grazie ad un presente fatto di buoni relazioni, di visioni comuni sulle maggiori aree di crisi e di sincerità nelle interlocuzioni personali.

Quando Meloni dice di voler porre le basi di una nuova diplomazia energetica per moltiplicare le opportunità di cooperazione tra Europa, Africa, Italia e Golfo, e offrire opportunità decisive per il successo della transizione tocca un punto concreto, forse quello più dibattuto nell’Unione europea, non fosse altro perché è un tema che nasce con la dottrina Timmersman (e con essa potrebbe morire). Roma, come altri governi europei, ritiene che al primo posto debba esserci certamente la neutralità tecnologica ma per costruire un mix di tutte le tecnologie disponibili. Senza, cioè, affidarsi solo ad una in toto.

Il passo successivo si ritrova nell’impegno, con leaders che Meloni ha già incontrato parecchie volte negli ultimi tre anni, a lavorare insieme contro il fondamentalismo islamico in Ue. Un riferimento per nulla scontato, perché tocca il vero nervo scoperto: secondo il premier italiano il mancato riconoscimento da parte di alcune comunità islamiche delle leggi e delle consuetudini dei paesi europei “provoca tensioni che rischiano di minare la coesione sociale e alimentare l’ostilità nei confronti delle minoranze musulmane in tutta Europa”. Per cui la chiave, particolarmente apprezzata dai leader presenti al vertice, è nella promozione ecumenica di forme proficue di dialogo e discussione tra identità diverse, così da “sostenere concretamente i percorsi di integrazione”.

La promessa, dunque, è di ospitare a Roma un’altra sessione del vertice Gcc-Med che sia in grado di creare questo nuovo e ambizioso formato di dialogo tra i paesi del Golfo e quelli del Mediterraneo, ma senza fare concorrenza ad altre agorà. Bensì per “lavorare sulle complementarità, sulle sinergie e sui reciproci punti di forza. Il nostro obiettivo deve essere quello di costruire una piattaforma operativa comune incentrata sulle sfide in cui possiamo fare la differenza insieme”. Ancora l’elemento dell’ecumenismo politico in grande evidenza, che si mescola ad un altro passaggio davvero alto che Meloni ha dedicato a questo importante vertice quando ha trattato il tema dell’omologazione e della cancellazione delle differenze. “Il dialogo – ha rivendicato – deve invece aiutare a conoscersi, a rispettarsi pienamente”.

E cita la protogenia latina del termine rispetto che deriva dal latino respicere, guardare in profondità. Per questa ragione, aggiunge, il rispetto “presuppone comprensione, storia, cultura, radici, e il suo prerequisito risiede nella consapevolezza e nell’orgoglio della propria identità, perché solo identità forti non temono il confronto”, ha proseguito la premier.

Quindi è proprio alla luce di tali premesse analitiche che l’Italia può giocare un ruolo di primo piano, “contando ad esempio su un hub cruciale come Trieste, il porto più a nord del Mediterraneo e lo storico accesso marittimo ai Balcani e al resto dell’Europa centrale e orientale”. Il riferimento è alla costruzione del Blue Raman Cable, la dorsale marittima per collegare l’Europa all’India attraverso l’Italia, il Mediterraneo e la Penisola Arabica. Più in generale spicca il significato politico dell’invito a Manama, che racconta il lavoro e l’attenzione che l’Italia ha dimostrato nei confronti di questo quadrante del mondo, con il quale Roma pensa che ci siano molti interessi convergenti. “Se guardate al Mediterraneo, che occupa l’1% dei mari del mondo e sul quale transita circa il 20% del commercio marittimo mondiale, ci si rende conto di quanto questo spazio sia molto più grande dei suoi confini geografici”.

Al termine de vertice c’è stato spazio anche per un aggiornamento sulla guerra, con la promessa che il decreto sull’Ucraina entro la fine dell’anno verrà “fatto in ogni caso perché serve, non vuol dire lavorare contro la pace, vuol dire che finché c’è una guerra aiuteremo l’Ucraina a potersi difendere da un aggressore”.


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