Ogni grande cambiamento, se ben compreso e governato, può portare l’economia e la società in una nuova dimensione fatta di crescita e benessere. Con l’AI molti mestieri spariranno ma tanti altri ne arriveranno, l’importante è investire in formazione e governance. La Sampdoria? Oggi è finalmente un club solido e credibile. Intervista a Matteo Manfredi, fondatore di Gestio Capital
Il problema non è cambiare o non cambiare, ma saper governare le grandi trasformazioni e sfruttarne il loro impatto. Si gioca tutta qui la grande partita dell’Intelligenza Artificiale. Questione di filosofia, di approccio e alla fine anche di metodo. Come a dire, una rivoluzione che oggi appare talvolta indecifrabile e un po’ misteriosa, può risultare alla fine un valido alleato per la crescita e il benessere. A un patto, fa subito capire Matteo Manfredi, imprenditore tra i più visionari della sua generazione, che con la sua Gestio Capital, multi-family office con sede a Londra e Milano, è stato tra i primi a credere nel potenziale benefico della madre di tutte le tecnologie: che l’Intelligenza Artificiale la si cavalchi, investendo in formazione, buona governance e nuove figure. Senza subirla passivamente, con il rischio, allora sì, di venirne travolti.
Oltre quattro anni fa Manfredi ha cominciato a intuire la consistenza della tecnologia AI. Prima investendo in Open AI (e arrivando a realizzare un rendimento del 2000%), in occasione di un round aperto dal co-fondatore Sam Altman. Poi puntando tra i 5 e i 10 milioni su un’altra eccellenza dell’AI, Perplexity.
Manfredi, lei è stato uno dei primi investitori italiani a credere nella rivoluzione dell’AI. Qual è stato il percorso che l’ha portata a intercettare per tempo questa trasformazione e quali valutazioni hanno guidato gli investimenti realizzati da Gestio?
Il nostro percorso verso l’Intelligenza Artificiale non è nato da una scommessa sulla tecnologia del momento, ma da un’osservazione attenta di quello che stava cambiando intorno a noi. Abbiamo iniziato ad investire in questo settore nel 2021 quando era chiaro che l’AI non sarebbe stata solo uno strumento ma una nuova infrastruttura abilitante, destinata a incidere in profondità sul modo in cui lavoriamo, prendiamo decisioni, creiamo valore e, più in generale, organizziamo la società. Per questo l’abbiamo affrontata con un approccio di lungo periodo, cercando di comprenderne prima le implicazioni strutturali e solo dopo le opportunità di investimento. In Gestio, quando valutiamo un investimento, cerchiamo sempre tre elementi insieme: disponibilità di talento, tecnologie realmente abilitanti e un impatto duraturo, che possa trasformare un settore nel lungo periodo. L’AI rispondeva a tutti e tre questi criteri.
Quando nel 2023 abbiamo investito in Open AI l’incertezza sugli sviluppi finali era molto alta ed in tanti, soprattutto in Italia non condividevano le nostre tesi. Oggi è facile parlare di Gestio Capital ma allora non era sempre cosi. Come sempre non ci siamo mossi sull’onda dell’entusiasmo o dell’hype, ma sulla comprensione concreta di come questi modelli sarebbero diventati fondamentali per aziende, istituzioni e società. È stato un approccio paziente, costruito sul lungo termine e di cui sono responsabile. Proprio come facciamo con le famiglie con cui lavoriamo: prima capiamo i cambiamenti profondi, le dinamiche che contano davvero, e solo dopo decidiamo dove allocare capitale. In questo senso, investire in AI non è stato un salto nel buio, ma una scelta ragionata e coerente con il nostro metodo.
Il dibattito sull’AI oscilla tra entusiasmo e preoccupazione. Dal suo punto di vista, come può l’uomo continuare a governare queste tecnologie mantenendo equilibrio tra innovazione e etica?
Il vero rischio non è l’Intelligenza Artificiale in sé, ma affrontarla senza una reale consapevolezza. Come tutte le grandi innovazioni, l’AI non è né buona né cattiva: amplifica le intenzioni, le competenze e i valori di chi la utilizza. Il tema della governance si gioca su più livelli. C’è la responsabilità di chi sviluppa questi sistemi, che deve porsi il problema di come vengono progettati e utilizzati. C’è il ruolo delle istituzioni, chiamate a definire regole chiare e applicabili, capaci di accompagnare l’innovazione senza rincorrerla. E infine c’è una dimensione culturale, fondamentale: la capacità diffusa di usare questi strumenti in modo critico e responsabile. L’etica non può essere un correttivo successivo, ma deve far parte delle scelte iniziali. Dal punto di vista dell’investitore, questo significa sostenere aziende che vedono l’AI non solo come leva di efficienza, ma come uno strumento per migliorare la qualità delle decisioni e creare valore sostenibile nel tempo.
L’AI cambierà inevitabilmente il mercato del lavoro. Secondo lei, quanto c’è di reale e quanto di apocalittico nelle previsioni più estreme?
Il cambiamento che l’AI porterà nel mondo del lavoro è reale, e sarebbe ingenuo negarlo. Alcune professioni cambieranno radicalmente, e molte attività ripetitive o routinarie tenderanno a scomparire. Ma la narrazione apocalittica spesso esagera: semplifica troppo quello che sta succedendo.
La storia ci insegna che ogni grande rivoluzione tecnologica ha eliminato alcuni lavori, ma ne ha creati molti altri, spesso più qualificati e meglio pagati. L’AI, se usata correttamente, libererà tempo e risorse cognitive: permetterà alle persone di concentrarsi su compiti che hanno davvero valore, creatività e impatto. La vera sfida, secondo me, sarà accompagnare questo cambiamento con strumenti concreti: formazione mirata, riqualificazione professionale e politiche che aiutino le persone a fare il passo successivo. Se gestito bene, il cambiamento non è una minaccia, ma un’opportunità enorme: ci dà la possibilità di fare meglio, di lavorare meglio e di spostare il lavoro umano verso ciò che ha più valore.
Gestio negli anni ha dimostrato la capacità di individuare investimenti ad alto impatto. Quali direttrici di sviluppo state osservando oggi per il futuro?
Continuiamo a concentrarci su quei settori in cui tecnologia e bisogni strutturali del mondo reale si incontrano. Un esempio concreto è un recente investimento realizzato insieme a Mubadala in un’importante operazione legata al mondo della tecnologia e dell’Intelligenza Artificiale. In questo caso abbiamo scelto di investire non sulle applicazioni finali, ma sulle infrastrutture che rendono possibile il funzionamento e la scalabilità di queste tecnologie.
È una scelta precisa: crediamo che le infrastrutture rappresentino uno dei punti in cui si costruisce valore più solido nel tempo. Più in generale, guardiamo a opportunità capaci di avere senso nei prossimi dieci o vent’anni, indipendentemente dai cicli di mercato. Il nostro obiettivo non è il rendimento di breve periodo, ma la costruzione di portafogli resilienti, coerenti con le grandi trasformazioni globali e in grado di accompagnare il capitale attraverso cambiamenti profondi e duraturi.
La sua società oggi lavora con famiglie di imprenditori e investitori globali: quali sono, secondo lei, i fattori che queste famiglie ricercano in un partner come voi?
Le famiglie con cui lavoriamo cercano prima di tutto un partner di fiducia, che condivida valori e orizzonte temporale. Non cercano solo performance, ma qualcuno che comprenda la complessità del loro patrimonio e le responsabilità che ne derivano. Il valore di Gestio non sta solo nell’accesso alle opportunità, ma nel fatto che investiamo in prima persona negli stessi progetti, con un allineamento totale di interessi. Questo ci impone un livello di disciplina e di rigore ancora più elevato: selezionare con giudizio, gestire il rischio in modo consapevole e avere la pazienza di aspettare quando le condizioni non sono giuste. In un contesto sempre più affollato di informazioni e stimoli, ciò che viene apprezzato è proprio questa capacità di prendere decisioni ponderate, e anche di dire dei “no” quando un investimento non risponde a criteri strutturali. In sostanza, le famiglie cercano un partner che non si limiti a eseguire operazioni, ma che costruisca insieme a loro un percorso solido e sostenibile nel tempo, mettendo il proprio capitale e la propria responsabilità sullo stesso piano.
La sua esperienza sta oggi proseguendo anche nel mondo dello sport, con la Sampdoria. Quali insegnamenti trae dalla gestione di una realtà calcistica e cosa porta della sua esperienza finanziaria in questo ruolo?
Il calcio è un mondo in cui emozione, identità e risultati convivono in modo molto più intenso che in altri settori. Guidare la Sampdoria significa assumersi una responsabilità che va ben oltre il campo: significa custodire una storia, un’identità e le aspettative di una comunità che conosce profondamente il vero valore di questo club. Dalla mia esperienza porto metodo, disciplina e una visione di lungo periodo. Sul piano sportivo i risultati non sono ancora quelli che tutti noi, per primi i tifosi, vorremmo, ed è giusto che la passione si esprima anche attraverso la contestazione. I tifosi fanno bene a pretendere di più, perché sanno cosa rappresenta la Sampdoria e quale livello le appartiene. La contestazione mi ricorda ogni giorno il livello a cui dobbiamo tornare. So bene che per un tifoso la solidità finanziaria non vince le partite, ma senza una società sana non esiste nemmeno la possibilità di tornare a vincerle. Fin dal primo giorno il primo obiettivo era tentare un risanamento che, per le condizioni iniziali, non aveva avuto precedenti nella storia del calcio italiano. Mai.
Non si è trattato semplicemente di salvare una società sportiva, ma di preservare un patrimonio che va oltre il campo: un club, una comunità, una cultura calcistica che appartiene non solo ai sampdoriani, ma alla storia del calcio italiano. Il risanamento di cui oggi parliamo è stato un percorso durato tre anni, che ha richiesto lavoro quotidiano, visione, scelte difficili e investimenti significativi orientati a creare una struttura che potesse tornare competitiva nel tempo.
Tutto questo è stato possibile proprio grazie alla storia e al valore di questo club, che ci ha permesso di attirare l’interesse dei grandi capitali che questo club merita. Quando sono arrivato ho trovato una situazione estremamente complessa, non solo sul piano finanziario ma anche strutturale. Oggi la Sampdoria è una società risanata, equilibrata e credibile, una realtà di primaria importanza per il calcio italiano ed europeo che ha finalmente basi solide su cui costruire. Questo non significa che il lavoro sia finito, ma che oggi esistono finalmente le condizioni per lavorare meglio anche sul piano sportivo.
Essere alla guida della Sampdoria non è un incarico come un altro, è una responsabilità che sento ogni giorno. Al centro del progetto ci sono sempre la Sampdoria e i sampdoriani. È su questa base che continuiamo a lavorare con l’obiettivo di riportare il club dove la sua storia e la sua gente sanno che deve stare.
















