“In Ucraina? Nessun soldato italiano. Il Medio oriente di domani? Golfo, Usa e Israele sanno che possono contare sull’Italia. Nascerà una piattaforma operativa attraverso la quale Italia, Europa, nazioni del Golfo, Nord Africa costruiranno uno spazio geopolitico sempre più sicuro, stabile e prospero”. Le comunicazioni del presidente del Consiglio in Aula prima di partire per Bruxelles
L’Ue è certamente un continente, ma soprattutto un contenuto. Per cui ciò che non funziona, si cambia. Chiaro il messaggio con cui il presidente del consiglio Giorgia Meloni si presenta dinanzi alle Camere in vista del prossimo Consiglio Europeo. Da un lato la consapevolezza che in agenda ci sono diversi temi di estrema rilevanza per l’Italia e l’Europa (anche se la priorità resta la guerra di invasione Russa all’Ucraina) e dall’altro l’esigenza di effettuare scelte politiche che richiedono “visione e responsabilità” sotto tutti i punti di vista. Nel mezzo il ruolo dell’Italia, che è mutato a livello internazionale.
Crisi in Ucraina: pace sì, soldati italiani no
“Non manderemo soldati in Ucraina”, assicura: questa la base per iniziare il ragionamento sull’Ucraina dopo aver partecipato al vertice di Berlino, insieme al Presidente Zelensky, a diversi leader europei, e ai negoziatori americani Steve Witkoff e Jared Kushner, “in un clima costruttivo e unitario che vale la pena di sottolineare”. La dichiarazione finale ricalca tutte le priorità che l’Italia ha sostenuto in questi mesi difficili, con un percorso verso la pace che si distende in quattro tappe: in primis lo stretto legame tra Europa e Stati Uniti, “che non sono competitor in questa vicenda ma hanno sicuramente angoli di visuale non sovrapponibili, dati soprattutto dalla loro differente posizione geografica”; in secondo luogo il rafforzamento della posizione negoziale ucraina, che si ottiene soprattutto non facendo un passo indietro sul sostegno all’Ucraina; inoltre la tutela degli interessi dell’Europa, che per il sostegno garantito dall’inizio del conflitto, e per i rischi che correrebbe se la Russia ne uscisse rafforzata; infine il mantenimento della pressione sulla Russia.
Su Mosca è palese, spiega, la mancata volontà russa “di contribuire al percorso negoziale in maniera equa, credibile e costruttiva, lo dimostrano i continui bombardamenti su città e infrastrutture ucraini, nonché sulla popolazione inerme, e lo confermano le pretese irragionevoli che Mosca sta veicolando ai suoi interlocutori.
La principale delle quali riguarda la porzione di Donbass non conquistata dai russi”. In questo senso grande rilevanza ha il tema delle garanzie di sicurezza per l’Ucraina, come strumento per scongiurare guerre future, tema sul quale si sono registrati i maggiori passi in avanti durante il vertice di Berlino.
L’attacco di Sidney
Meloni nel suo intervento dedica spazio al “brutale attacco antisemita a Sidney”, su cui esprime la vicinanza al popolo australiano, alla comunità ebraica (“presa di mira da terroristi probabilmente affiliati all’ISIS”), alle molte vittime e ai molti feriti. Sottolinea la gratitudine a quel cittadino, anche lui musulmano, che con il suo intervento ha evitato che la strage fosse addirittura peggiore.
“Nel suo gesto eroico sta un messaggio potentissimo: la pace é difficile, i nemici della pace proveranno a sabotarla in ogni modo, spetta agli uomini di buona volontà, di qualunque fede e origine, fare di tutto per costruirla e preservarla”. Anticamera al compito che spetta alla politica che deve implementare le misure di sicurezza e di protezione delle comunità ebraiche.
“È tempo di non ammettere più distinguo o reticenze nella condanna di ogni forma di antisemitismo. Perché, da lungo tempo, si assiste a una inaccettabile sottovalutazione dell’antisemitismo di stampo islamista e di quello connesso alla volontà di cancellazione dello Stato di Israele. Ma approfitta per dire anche che alla politica e alle istituzioni, spetterebbe anche il compito di preservare la Repubblica dai rischi per la propria sicurezza, inclusi quelli derivanti dalle predicazioni violente di autoproclamati imam che, come nel caso di Shahim, fanno addirittura apologia del pogrom del 7 ottobre.
Quale Medio Oriente?
Non solo Ucraina, un passaggio importante è quello dedicato al futuro del Medio Oriente, anche alla luce del Vertice del Consiglio di Cooperazione del Golfo a cui Meloni è stata invitata come “riconoscimento del ruolo dell’Italia nello scenario mediorientale e del Mediterraneo allargato”. Rivendica il premier che quel ruolo il governo “ha voluto e saputo costruire nel tempo, attraverso un dialogo attento e costante con i leader di quella regione”.
L’idea condivisa con tutti i leader del Golfo è quella di un Medio Oriente “prospero e in pace”, che si concentri sulle relazioni economiche e culturali piuttosto che doverlo fare sugli aiuti umanitari, sulla strategia piuttosto che sull’emergenza, sulla stabilità piuttosto che sulla precarietà. Spicca in questo senso il peso specifico dell’Italia che il Golfo vede sempre di più una porta verso l’Europa: “una porta diplomatica, fisica, e geografica, per le grandi interconnessioni infrastrutturali, logistiche, digitali ed energetiche, ma anche una porta politica per costruire uno spazio di cooperazione orientato allo sviluppo economico e tecnologico”.
Anche per questa ragione a Manama Meloni ha lanciato l’idea di un nuovo foro di dialogo e cooperazione che idealmente sia in grado di unire due spazi geografici, il Mediterraneo e il Golfo, non soltanto geograficamente vicini, ma potenzialmente in grado di condividere una vocazione globale. “Insieme, pur rappresentando uno spazio geografico relativamente contenuto, custodiamo alcuni dei passaggi più strategici dell’intero commercio mondiale: lo stretto di Hormuz, Bab el Mandeb, il canale di Suez, lo stretto di Gibilterra”.
Creare una piattaforma operativa
Nello specifico Meloni ipotizza la nascita di una piattaforma operativa tarata su sfide in cui l’Italia può fare la differenza: le interconnessioni economiche, le connessioni digitali, la diplomazia energetica.
Una cooperazione rafforzata “attraverso la quale l’Italia, l’Europa e le Nazioni del Golfo, ma anche il Nord Africa e il Medio Oriente, possono dare vita a qualcosa di completamente inedito, con l’obiettivo di costruire uno spazio geopolitico sempre più sicuro, stabile e prospero”.
Dal Summit di Manama quindi il governo di Roma vede non solo il proprio status di ospite d’onore come un riconoscimento, da parte di quei leader, del suo impegno negli sforzi per riportare la pace a Gaza, ma anche un apprezzamento specifico da parte degli Usa per quanto fatto negli anni dai Carabinieri nella formazione delle forze di sicurezza palestinesi.
Senza dimenticare, prosegue Meloni, Israele “che sa di trovare nell’Italia un partner che, in questi anni difficili, ha sempre tenuto la barra dritta, richiamando le troppo spesso dimenticate responsabilità di Hamas nel conflitto, a partire proprio dall’efferato attacco del 7 ottobre 2023”.
Passaggio sul quale ricorda la visita a Roma del Presidente Abu Mazen, per la seconda volta in poco più di un mese. Ricorda inoltre che, dopo il Piano di Trump, è ora il momento di gestire la fragile tregua a Gaza al fine di consolidare la cessazione delle ostilità, che possa durare nel tempo e aprire la strada alla stabilizzazione a lungo termine della Striscia, fino a realizzare la prospettiva dei due stati.
“Tutto questo richiede un pieno accesso umanitario per far fronte ai bisogni enormi della popolazione civile, l’avvio della ricostruzione, ma anche il disarmo di Hamas, che deve cessare di essere una minaccia per Israele e, in ultima analisi, per gli stessi palestinesi”.
Sicurezza e migrazioni
L’Italia è stata apripista sul tema delle migrazioni, ricorda ancora il premier, come dimostra il nuovo piano Ue di migrazioni e asilo che ricalca per ampi stralci i rilievi che il governo ha mosso sin dal suo insediamento.
Una riflessione secondo Meloni va fatta anche sulle Convenzioni internazionali, scritte molti decenni or sono, in questa direzione va l’appello lanciato insieme alla Danimarca che ha man mano raccolto adesioni, fino ad arrivare, pochi giorni fa, ad una dichiarazione politica, che fa seguito alla lettera aperta dello scorso maggio, sottoscritta da 27 Stati membri del Consiglio d’Europa, cioè dalla maggioranza dei suoi paesi membri.
“Questo amplissimo sostegno, ci ha ora consentito di avviare, in piena collaborazione con il Segretariato Generale dello stesso Consiglio d’Europa, un processo che dovrebbe portare ad una applicazione della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo più efficace e più in linea con il contesto attuale”. Quando Meloni e il Primo Ministro socialista Mette Friedriksen hanno lanciato questa iniziativa, per molti era considerata quasi uno scandalo, rivendica la premier.
La dimensione esterna e il Piano Mattei
L’impegno italiano nella dimensione esterna delle politiche migratorie combacia con il Piano Mattei per l’Africa, non più un’iniziativa solo italiana, ma una strategia europea e internazionale, “che può contare su sinergie strutturate a vario livello, come quella che abbiamo consolidato con il Global Gateway e più recentemente con il Patto per il Mediterraneo dell’Unione Europea”.
Si tratta di una cooperazione che vale già oltre un miliardo e 200 milioni di euro e che si pone l’obiettivo di realizzare nel Continente africano progetti e investimenti capaci di generare uno sviluppo economico e sociale stabile e duraturo nel tempo.
“I risultati raggiunti in questi anni ci incoraggiano ad andare avanti, e ci dicono che la strada intrapresa sia la più corretta. La riduzione dei flussi migratori illegali verso l’Europa registrata in questi anni, la parallela sensibile riduzione dei morti e dei dispersi nel Mediterraneo, insieme a progetti di formazione e migrazione legale, sono la prova che la nostra cooperazione funziona. Dobbiamo ora lavorare per consolidare questi sforzi, perché non ci accontentiamo ancora e non intendiamo indietreggiare”.
Infine i Balcani, che fanno già parte della famiglia europea e “sono fondamentali per la nostra autonomia strategica, lo ribadirò anche questa sera al Vertice UE-Balcani, dove mi recherò subito dopo la fine del dibattito in aula”. In prima fila i risultati positivi ottenuti da Albania e Montenegro: dimostrano che i due paesi hanno concrete possibilità di adesione in un futuro molto prossimo.















