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Natale, gli auguri di Meloni e il presepe. La riflessione di Cristiano

Impiegando molto tempo a farlo per la mia scarsa manualità, il presepe non mi dice che non impone niente a nessuno, ma che ci invita a un modo di vedere il mondo, la vita. Quel simbolo a me impone di capire sempre meglio i cardini della predicazione dell’uomo che sarebbe diventato quel bambino nato in quella mangiatoia. L’opinione di Riccardo Cristiano

Questo Natale, il mio, è diventato problematico dopo gli auguri social della presidente Meloni, ripresi accanto a un presepe. Infatti nel suo breve messaggio la signora Meloni, presidente del governo del mio Paese, che amo, ha detto che il presepe non impone niente a nessuno.

Per me non è così. Quel simbolo a me impone di capire sempre meglio i cardini della predicazione dell’uomo che sarebbe diventato quel bambino nato in quella mangiatoia. E quali sono questi cardini? Per me è stato sempre molto semplice individuarli, li troviamo scritti in Matteo 25, 35-40: “perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.  Il vangelo per me è tutto qui. Mi sembra che al di là del suo significato commerciale o religioso, il Natale proprio oggi ci interpelli maggiormente: è una mano tesa all’umano con tutte le sue imperfezioni, senza distinzioni.

Dunque il presepe mi impone di capire cosa significhi questa raccomandazione nei diversi contesti in cui mi trovo, nelle diverse condizioni della mia vita. Difficilmente può significare il suo contrario, il suo senso di fondo mi è sempre apparso un’indicazione che mi spiega che se penso solo a me stesso, indifferente agli altri, agli svantaggiati, non ai potenti, agli umili, non ai potenti, agli sconfitti, non ai potenti, a chi è caduto, non ai potenti, a chi è in difficoltà, non ai potenti, non mi aiuto, non faccio il mio bene. Per quanto altri, ad esempio la Thatcher, abbiano sostenuto che la società non esiste, esiste solo l’individuo e la famiglia, a me sembra che qui si dica una cosa molto diversa.

Così quando faccio il presepe, ogni anno, a casa, penso alla fuga in Egitto di questo bambino che tra poco diverrà un profugo ospitato in terra straniera per salvarsi dalla persecuzione in patria. Forse secoli fa non l’avremmo potuto capire come oggi, ma come aveva senso allora ne ha oggi e pensarci mi fa bene, mi rende inquieto e nell’inquietudine trovo la pace. Poi penso ai pastori, cioè a quelli che per primi furono chiamati a vederlo; sono tanti i pastori in tutti i presepi, ed è bello pensare che non fossero dei Capi di Stato, dei principi, dei nobili: ma degli umili pastori… Forse secoli fa non avremmo potuto capirlo come oggi, ma aveva senso allora lo ha oggi e pensarci mi fa bene, mi rende inquieto e nell’inquietudine trovo la pace. Poi penso ai magi, che non erano re e sui quali ogni presepe si esercita nel curarne le vesti. Sembra fossero sacerdoti zoroastriani. Era difficile capirlo allora come lo capiamo oggi, ed è bello ragionare su cosa significhi, perché mi rende inquieto e nell’inquietudine trovo la pace.

Impiegando molto tempo a farlo per la mia scarsa manualità, il presepe non mi dice che non impone niente a nessuno, ma che ci invita a un modo di vedere il mondo, la vita. Penso alla frase “Date a Cesare quel che di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. Separa i poteri nel senso che ci invita a essere Arlecchini servitori due padroni? Io non penso. Mi convince molto di più PierPaolo Pasolini quando dice che quella “e” è disgiuntiva, oppone. Per Pasolini quella frase ha un senso affascinante, un’altra esortazione: “distingui nettamente Cesare e Dio, non confonderli; non farli coesistere qualunquisticamente con la scusa di poter servire meglio Dio; non conciliarli; ricorda bene che il mio “e” è disgiuntivo, crea due universi non comunicanti, o, se mai, contrastanti, insomma, lo ripeto, inconciliabili”. Questa frase mi convince perché molti hanno pensato di cancellarlo e in linea di massima hanno danneggiato il senso di umanità e quindi se stessi, altri hanno pensato di servirlo, e molto spesso lo hanno danneggiato.


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