La nuova National Security Strategy riscrive la postura globale degli Stati Uniti in quella di una potenza selettiva. Sovranità, prima di tutto, deterrenza come linguaggio strategico e alleati chiamati a reggere più peso. Cybersecurity elevata a infrastruttura vitale e ritorno duro alla dottrina Monroe
Confini ripristinati, cartelli designati come Foreign Terrorist Organizations, mille miliardi di dollari nel riarmo, impegni Nato portati al 5% del Pil, otto conflitti risolti attraverso diplomazia presidenziale diretta. Nel preambolo della National Security Strategy pubblicata a novembre, Donald Trump rivendica di aver riportato “la nazione, e il mondo, in soli nove mesi. Così, l’America sarebbe tornata forte, rispettata, in grado di “fare pace” proprio perché percepita come potenza incontestabile.
La nuova Nss ridefinisce la dottrina: se la strategia americana è deragliata dopo la Guerra Fredda, sostiene il documento, è a causa di élite illuse dal globalismo, da istituzioni transnazionali “intrusive” e da alleati troppo comodi nel lasciare agli Usa il costo dell’ordine internazionale. Il risultato sarebbe stato un indebolimento della Repubblica: industria svuotata, confini porosi, sovranità erosa, apparato militare diluito da impegni infiniti. La cura Trump è una ridefinizione drastica delle priorità. E soprattutto un ritorno alla “sovranità” come principio fondativo.
Confini, industria, deterrenza e identità gli interessi vitali
La National security strategy parte dai pilastri interni, che diventano precondizione della potenza esterna. Confini sotto controllo totale, fine dell’era delle migrazioni di massa, protezione dell’economia da pratiche predatorie, furti tecnologici, propaganda, traffici, sovversione culturale.
Deterrenza nucleare modernizzata, Golden Dome anti-missilistico per la protezione integrale del territorio, forze armate “le più letali e tecnologicamente avanzate del mondo”.
E poi industria, energia e tecnologia, reindustrializzazione del Paese, dominio energetico fondato su fossili e nucleare, primato scientifico e difesa della proprietà intellettuale.
E, come pilastro dell’intero sistema, un elemento che la Nss definisce apertamente indispensabile: la “rinascita culturale e spirituale americana”.
Le priorità esterne
La strategia individua cinque direzioni principali: riaffermazione dell’emisfero occidentale come zona di influenza esclusiva (un ritorno alla dottrina Monroe); contenimento economico e tecnologico della Cina, unito alla deterrenza nell’Indo-Pacifico; sostegno a un’Europa descritta come civiltà in declino, da riportare a sovranità e “fiducia”; un Medio Oriente stabilizzato e non più dominante nell’agenda americana; leadership globale negli standard tecnologici su IA, biotech e quantistico.
Questi i pilastri che trasformano “America First” da formula a metodo: protezione, selettività, priorità chiare, nessuna ambizione universalistica.
Cybersecurity al centro del villaggio
Il documento tratta la cybersecurity come infrastruttura vitale della sicurezza nazionale, saldata sia alla strategia economica sia alla deterrenza.
La Nss lega apertamente la resilienza digitale alla capacità di “difendere l’economia e il popolo americano da qualsiasi danno, da qualunque Paese o fonte” e lo fa attraverso tre punti principali.
Primo, l’integrazione pubblico-privato: la Nss definisce “critica” la collaborazione strutturale tra governo Usa e settore tecnologico nazionale per monitorare minacce persistenti contro reti e infrastrutture. La protezione delle reti è vista come condizione della competitività economica e della sovranità tecnologica.
Secondo, Difesa e offesa unificate: secondo la dottrina Trump, il perimetro cyber non è solo da proteggere: è un campo operativo attivo. La Nss parla esplicitamente di “real-time discovery, attribution and response”, includendo dunque capacità di risposta immediata, difensiva e offensiva, come parte della postura di deterrenza.
La deregolamentazione stessa diviene un vantaggio strategico: l’abilitatore fondamentale, scrive la Nss, è “considerevole deregulation”. Ossia: meno vincoli, più flessibilità, un ambiente che favorisca innovazione, rapidità decisionale e accesso alle risorse naturali e tecnologiche.
Il mappamondo made in Usa
La geografia strategica viene ridisegnata attraverso un ritorno duro alla dottrina Monroe. Stop a qualsiasi presenza strategica extra-continentale e ridislocazione delle forze Usa, uso della forza contro cartelli e criminalità transnazionale, protezione delle supply chain, diplomazia commerciale protettiva per ridurre l’influenza cinese.
In Asia, la Cina è ancora la priorità sistemica. La Nss articola un duplice binario: riequilibrio economico e deterrenza militare. Taiwan come nodo critico; First Island Chain come linea rossa; alleati obbligati ad aumentare capacità e spesa. L’obiettivo è evitare il conflitto attraverso superiorità economica e militare, non auspicarlo.
La descrizione del vecchio Continente è poi impietosa: in declino demografico, economico e identitario, soffocato da regolazioni e istituzioni che erodono libertà e sovranità. L’interesse Usa è un cessate il fuoco rapido in Ucraina e la costruzione di un’Europa sovrana, capace di difendersi e non dipendente da Washington.
Il binocolo mediorientale, con l’indipendenza energetica americana, vede una regione che cambia status. Da epicentro di minacce a piattaforma di cooperazione e investimenti. Iran “indebolito”, Accordi di Abramo da espandere, nessun nation-building, diplomazia transazionale con i regimi “come sono” e non come dovrebbero essere.
Per quanto riguarda l’Africa, la strategia delinea la fine dell’approccio assistenziale. Al suo posto, subentrano investimenti strategici in energia, minerali critici e infrastrutture. Nessuna presenza militare prolungata: solo interventi limitati per prevenire conflitti o contenere il jihadismo.
La dottrina della potenza selettiva
Nella nuova National Security Strategy, Washington mette nero su bianco una visione del mondo che intreccia realpolitik e rinnovata assertività culturale. L’obiettivo dichiarato è sostenere gli alleati europei nella difesa della libertà e della sicurezza del continente, ma anche favorire un recupero di “autostima civilizzazionale” e identità occidentale. È in questo quadro che gli Stati Uniti promettono di opporsi alle derive tecnocratiche e alle restrizioni sulle libertà fondamentali imposte da élite politiche in Europa e nel mondo anglosassone, rafforzando al contempo un nuovo paradigma di burden-sharing: l’era dell’America-Atlas, sola a reggere l’ordine internazionale, viene liquidata come insostenibile. Il modello che emerge – suggellato dall’Hague Commitment al 5% del PIL in spesa militare per i Paesi NATO – punta a una rete di partenariati mirati, in cui responsabilità, incentivi economici, allineamento sui controlli all’export e sostegno tecnologico convergono per evitare la dispersione strategica del passato.
La strategia attacca frontalmente le politiche “Net Zero” e ciò che definisce la “ideologia del cambiamento climatico”, ritenute corresponsabili del declino industriale europeo e di vulnerabilità che finiscono per sovvenzionare gli avversari degli Stati Uniti. Sul piano indo-pacifico, la diplomazia “America First” insiste invece su un riequilibrio degli squilibri commerciali strutturali, chiedendo a Europa e alle economie avanzate dell’Asia di adottare politiche capaci di spingere la Cina verso una crescita trainata dai consumi interni, mentre invita gli alleati a valorizzare in modo più coordinato le immense risorse finanziarie disponibili per definire – finalmente – una strategia congiunta verso il cosiddetto Global South.
È però sul dossier europeo che il documento raggiunge i toni più apodittici. L’analisi individua nella stagnazione economica, nella pressione regolatoria e in un insieme di tendenze sociopolitiche – migrazioni incontrollate, crisi demografiche, erosione delle identità nazionali, censura del dissenso – i sintomi di una “potenziale estinzione civilizzazionale”. Se il continente non correggerà la rotta, ammonisce la Casa Bianca, rischia di perdere la capacità di essere un alleato affidabile già entro una generazione. Il nodo Russia resta centrale: nonostante la superiorità convenzionale europea, la percezione di vulnerabilità ha alimentato scelte miopi, con l’effetto paradossale di aumentare le dipendenze energetiche e industriali, come dimostra la rilocalizzazione tedesca verso la Cina alimentata da gas russo aggirato. Per Washington, un cessate il fuoco rapido in Ucraina è un interesse nazionale: serve a stabilizzare l’economia europea, ridurre il rischio di escalation e garantire all’Ucraina condizioni minime di sopravvivenza statuale.
La strategia invita apertamente a sostenere le forze politiche europee che promuovono libertà di espressione, sovranità democratiche e orgoglio nazionale, confidando nel crescente peso dei partiti patriottici per avviare una rinascita continentale. L’obiettivo finale è una Europa “ancora europea”, forte, stabile, capace di assumersi la responsabilità primaria della propria difesa e di cooperare con gli Stati Uniti nel contenimento di potenze revisioniste. La roadmap per il futuro è chiara: stabilità interna e con Mosca, resistenza alle derive regolatorie e identitarie, apertura dei mercati europei, rafforzamento dei Paesi dell’Europa centro-orientale, stop alla percezione di una NATO in espansione infinita e una risposta più vigorosa alle pratiche economiche ostili – dal dumping alla sottrazione tecnologica – che minacciano sicurezza e prosperità transatlantica.
La Nss è la sistematizzazione in dottrina dell’approccio trumpiano alla politica estera. Niente universalismi, niente progetti di ingegneria politica all’estero, niente garanzie gratuite agli alleati e nessun idealismo. L’America si presenta come una potenza selettiva: forte, sovrana, industriale, impermeabile a influenze esterne, e libera di agire, o non agire, secondo un criterio semplice: cosa serve all’interesse americano?







