Alcuni produttori europei di inverter hanno deciso di tagliare i ponti con Pechino, acquistando d’ora in avanti componentistica esclusivamente made in Europe. Un altro segnale che anche sulle rinnovabili il vento per il Dragone sta cambiando. Almeno in Europa
Si mette sempre peggio per il Dragone in Europa. E non è tanto una questione di auto elettriche o batterie, ma di pannelli fotovoltaici. Da quando l’Italia, la scorsa estate, ha rotto gli indugi, mettendo al bando, primo Paese membro dell’Unione a farlo, i produttori cinesi di componentistica destinata al fotovoltaico, escludendo nello specifico della aste per gli incentivi tutte quelle aziende che compravano pannelli prodotti in tutto o in parte nel Dragone, il vento è cambiato nel Vecchio continente. Una sorta di crisi di rigetto che si sta piano piano allargando dalla politica alle stesse aziende.
La prova? Sta nella decisione di alcuni tra i principali produttori europei di componentistica per il solare, a cominciare dagli inverter per collegare i pannelli alla rete elettrica, di creare una sorta di maxi cartello in funzione anti-cinese. L’obiettivo è quello di frammentare il più possibile le catene di approvvigionamento di matrice cinese. Ovvero, di aumentare la presenza di pezzi ed elementi di fabbricazione europea nell’industria del fotovoltaico. Ora, ad oggi in Europa conta all’incirca una dozzina di grossi produttori di inverter.
Di questi, nove si riforniscono di componentistica cinese, uniti nel tentativo di rafforzare la propria posizione di mercato e aumentare gli standard di cybersicurezza, minacciati proprio dalla presenza invasiva di inverter cinesi. Tra questi, l’austriaca Fronius, ma anche la tedesca SMA e la spagnola Ingeteam. D’altronde, gli inverter sono un componente estremamente sensibile nel fotovoltaico, poiché la loro vulnerabilità ad attacchi informatici rappresenta un rischio credibile per la sicurezza dello stesso approvvigionamento elettrico europeo.
Come detto, è l’Italia ad aver smosso le acque. Dopo aver deciso, la scorsa estate, di escludere i produttori cinesi di pannelli solari dalle gare per gli incentivi, nei giorni scorsi è arrivata la prima asta interamente made in Europe. Roma ha infatti assegnato oltre 1,1 gigawatt di capacità a 88 progetti nella sua prima asta riservata esclusivamente a progetti solari realizzati senza apparecchiature prodotte in Cina, fissando un prezzo medio di 66,38 euro per megawattora.
Secondo i dati dell’Agenzia per i servizi elettrici (Gse) italiana, la tariffa è superiore del 17% rispetto al prezzo medio di un’asta per le energie rinnovabili tenutasi all’inizio di quest’anno, che non prevedeva restrizioni sulla provenienza delle apparecchiature. Ora, la gara, è questo è il dato, è tra le prime in Europa ad applicare criteri non basati sul prezzo e legati al Net-Zero Industry Act dell’Unione Europea, un pacchetto di misure che mira a ridurre la dipendenza dai componenti rinnovabili a basso costo provenienti dalla Cina.















