Gerusalemme rompe gli equilibri regionali riconoscendo ufficialmente il Somaliland come Stato sovrano, aprendo a Israele un affaccio strategico sul Golfo di Aden contro le minacce Houthi. La mossa, sigillata da Netanyahu, scatena reazioni furenti da Egitto, Turchia e Somalia, mentre Emirati ed Etiopia applaudono: un nuovo asse che ridisegna rotte commerciali e alleanze nel cuore del commercio globale
Il riconoscimento ufficiale dello “Stato di Somaliland” da parte di Israele non è solo una novità diplomatica: è una mossa geopolitica destinata a modificare gli equilibri nel Corno d’Africa e nell’intero bacino del Mar Rosso. Per la prima volta dal 1991 — anno in cui l’ex protettorato britannico del Nord Somalia proclamò la propria indipendenza da Mogadiscio — una nazione membro delle Nazioni Unite conferisce dignità statuale a un’entità rimasta finora nell’ombra del diritto internazionale.
Dietro l’annuncio, la posta in gioco è molto più ampia: accesso strategico al Golfo di Aden, controllo dei flussi marittimi tra l’Oceano Indiano e il Mediterraneo, e l’apertura di un nuovo fronte nel confronto indiretto tra Israele e Turchia.
Dall’isolamento al riconoscimento: la strategia israeliana
La dichiarazione congiunta tra Benjamin Netanyahu e il presidente del Somaliland, Abdirahman Mohamed Abdillahi, ha prodotto un terremoto regionale. Israele ottiene, di fatto, un affaccio di 850 chilometri sul Golfo di Aden. Un luogo strategico per installare radar, stazioni di sorveglianza e capacità anti-drone contro le minacce provenienti dallo Yemen, in particolare dai ribelli Houthi.
Tel Aviv non si limita più al Mediterraneo: cerca profondità strategica anche a Sud, lungo la rotta del commercio globale. E questa scelta, apparentemente marginale, è parte di un disegno che si allunga fino al Bab el-Mandeb — la strettoia dove passano ogni giorno quasi il 12% dei traffici mondiali — e che coincide con il progressivo ingresso di Paesi del Golfo nelle dinamiche di sicurezza regionale.
Dietro le quinte: il filo emiratino
Da anni, Abu Dhabi investe nel Somaliland. Dal porto di Berbera, gestito da DP World, agli accordi infrastrutturali e doganali, il territorio è diventato un prolungamento dell’influenza economica e militare emiratina nel Mar Rosso.
Non è un caso che il passaporto del Somaliland consenta l’ingresso quasi esclusivamente a Dubai: un segnale politico mascherato da dettaglio amministrativo. Oggi l’appoggio di Israele formalizza ciò che per anni è stato un ménage triangolare: Somaliland–Emirati–Israele, un asse non dichiarato ma funzionale a contenere l’espansione turca e a garantire vie sicure per la proiezione commerciale del Golfo.
Il riconoscimento israeliano potrebbe anche spianare la strada a un riconoscimento statunitense successivo, come parte di una strategia integrata di Washington per controllare la cintura marittima che unisce il Corno d’Africa all’Indo-Pacifico.
La reazione dei vicini: una saldatura egiziano-turca
La risposta regionale è stata immediata. In un comunicato congiunto, i ministri degli Esteri di Egitto, Somalia, Turchia e Gibuti hanno condannato la decisione israeliana, riaffermando la “piena sovranità e integrità territoriale della Somalia”.
Dietro le parole diplomatiche si nasconde un messaggio chiaro: Cairo e Ankara — che da anni si trovano su fronti opposti — potrebbero trovarsi costrette a un “patto di necessità” per difendere l’assetto federale somalo. Per il Cairo, il riconoscimento di Somaliland rafforza la proiezione marittima di Etiopia e Israele proprio sul versante del Mar Rosso, alterando le delicate dinamiche legate a Suez e al Nilo. Per Ankara, invece, la minaccia è diretta: l’unico alleato stabile in Africa, la Somalia, rischia di essere frammentato.
Ankara dispone attualmente della più grande base militare turca del continente proprio a Mogadiscio — un elemento che spiega l’entità della sua irritazione.
Il vicino Yemen
L’avvenimento desta preoccupazione anche nel vicino Yemen. Secondo quanto ha spiegato a “Formiche.net” Tawfiq Al-Humaidi, avvocato e analista politico yemenita, “il riconoscimento del Somaliland da parte di Israele non può essere interpretato come una mossa diplomatica isolata, ma piuttosto come un segnale di un cambiamento più profondo nel conflitto del Mar Rosso e del Corno d’Africa. La geografia marittima sta passando dai margini al cuore della politica con la riorganizzazione degli assi e delle alleanze regionali”.
Secondo il politologo yemenita “soprattutto dopo gli eventi di questi giorni nel sud dello Yemen, con la minaccia militare dell’Arabia Saudita al suo alleato di Abu Dhabi che cerca la secessione lungo le linee del “Somaliland” e l’ingresso forzato nei governatorati di Hadramawt e Al-Mahra, questo riconoscimento apre le porte alla logica di entità funzionali che emergono qua e là secondo necessità e vengono ricompensate con legittimità dopo aver imposto il fatto compiuto”. Il riconoscimento a suo avviso, in questo caso, “non è tanto una presa di posizione giuridica quanto un riposizionamento all’interno di uno spazio di sicurezza e commerciale altamente fluido. È un messaggio che l’equilibrio della stabilità non è più governato da vecchie mappe, ma da equilibri di potere e corridoi strategici”.
Geopolitica delle acque: il “nuovo triangolo d’oro”
La mappa che emerge da questo movimento diplomatico si può leggere attraverso un nuovo triangolo strategico: Israele–Emirati–Etiopia. Quest’ultima cerca da tempo uno sbocco al mare dopo essere rimasta senza coste dal 1993. L’intesa del 2024 fra Addis Abeba e Hargeisa — che prevedeva il leasing del porto di Berbera in cambio di un possibile riconoscimento — aveva già segnalato un cambio di paradigma.
Con il sigillo israeliano, l’accordo assume una nuova legittimità internazionale e “normalizza” l’idea di un’Etiopia con un piede sull’Oceano. Un fatto che sposta i baricentri regionali e obbliga Egitto e Sudan a ricalibrare le proprie strategie di sicurezza sul Nilo e sul Mar Rosso.
Questa mossa, inoltre, svuota parzialmente il peso strategico di Gibuti, dove si concentrano basi militari di potenze globali — dagli Stati Uniti alla Cina, passando per Francia e Giappone — e consacra Berbera come alternativa “sicura” per il blocco filo-occidentale.
Una nuova “cintura di sicurezza” israeliana
Da un punto di vista strategico, il riconoscimento del Somaliland rientra nello schema delle “cerchie difensive” israeliane: dopo gli Accordi di Abramo, Tel Aviv cerca di costruire una cintura di alleati e infrastrutture di intelligence che si estende dal Mediterraneo all’Oceano Indiano.
Come nel caso del Marocco — che ha ottenuto un riconoscimento americano sulla sovranità del Sahara occidentale — anche il Somaliland entra ora nel club delle normalizzazioni in cambio di legittimità politica. Ma qui l’obiettivo non è solo diplomatico: si tratta di difendere le rotte marittime e prevenire l’espansione di attori rivali, come l’Iran attraverso i ribelli Houthi, o la Turchia nel quadro delle sue proiezioni africane.
Conclusioni: un mosaico in movimento
Il riconoscimento israeliano del Somaliland segna l’inizio di una nuova fase per il Corno d’Africa, dove il confine tra diplomazia economica e presenza militare si fa sempre più labile. È la manifestazione di una geopolitica liquida, fatta di scali portuali trasformati in avamposti, di diplomazie parallele e di alleanze modellate più dalla geografia che dalle ideologie.
In questo gioco a più mani, i Paesi del Corno si trovano spesso “oggetto” più che “soggetto” delle manovre altrui: un mosaico che continua a muoversi, mentre il Mar Rosso diventa sempre più il teatro centrale della competizione globale.
















