Maurizio Landini guida la Cgil verso una mutazione politica, trasformando il sindacato in protagonista dell’opposizione invece che in tutore dei lavoratori. Cinque scioperi consecutivi mostrano come la protesta sia ormai più simbolica che contrattuale. Il rischio è usare i diritti sindacali per finalità partigiane, creando una confusione tra sindacato e politica. L’opinione di Giuliano Cazzola
E cinque. Maurizio Landini ha effettuato il quinto sciopero generale durante la sessione di bilancio per cinque anni consecutivi. Ma il numero cinque ritorna implacabile anche nell’ultimo trimestre dell’anno che volge al termine, dove un po’ grazie alla Cgil, un po’ su iniziativa dei suoi nuovi compagni di merende (Cobas e varie organizzazioni sedicenti di base) si sono svolti a distanza ravvicinata ben cinque astensioni dal lavoro, alcune in solidarietà con quella pagliacciata della “flotilla’’ nell’ambito di un pacifismo peloso ed equivoco nelle sue motivazioni.
In questo percorso movimentista la Cgil ha perduto per strada le confederazioni già sorelle e si è messa a capo di una coalizione della protesta per la protesta, senza preoccuparsi del seguito effettivo che questa linea di condotta raccoglie tra i lavoratori, che ormai si sono accorti di non scioperare per ottenere dei risultati ma per manifestare per un’alternativa politica nel Paese. E qui casca l’asino.
Che cosa succede quando un grande sindacato per “fare politica’’ si avvale dei diritti che l’ordinamento gli riconosce per svolgere la sua essenziale e specifica funzione di tutela dei lavoratori?
Il sindacato è certamente un soggetto politico, e non vi è un confine ben definito tra l’iniziativa sindacale e l’azione politica; pertanto un sindacato è assolutamente legittimato ad esprimere le proprie posizioni non solo nell’ambito della contrattazione collettiva ma anche sui problemi che interessano l’economia, la società e le regole del vivere civile.
Ma la questione è più complessa, perché nella Cgil è in corso una mutazione genetica verso un tertium genus che non è del tutto un partito ma non è più soltanto un sindacato.
Siamo gente di mondo: in ogni angolo della terra i sindacati hanno una liaison genetica con le formazioni di sinistra che li induce ad avere un occhio di riguardo quando i relativi partiti e movimenti vincono le elezioni e ad esprimere, invece, una naturale avversità nei confronti dei partiti conservatori e di destra.
E qui si presenta già un primo problema che tuttavia può essere annoverato nell’ambito della comune dialettica democratica.
Nella dialettica politica, chi vince legittimamente governa anche se deve misurarsi con un’opposizione agguerrita.
Ma se di mezzo ci si mettono i sindacati, i quali si avvalgono, contro il governo, delle rendite di posizione loro conferite dal sistema di potere di cui sono elementi essenziali, la partita diventa difficile e squilibrata, se un sindacato si avvale per finalità partigiane dei mezzi attribuiti dalla legge e dai contratti per svolgere la sua funzione.
Si sarà già capito che la Cgil di Maurizio Landini – come è stato scritto – “si muove nello stesso campo dei partiti politici. Li sfida, si allea, li sostiene’’.
In sostanza con la leadership di Landini la Cgil è integrata nell’opposizione a cui offre una capacità di mobilitazione, con risorse economiche e di quadri sperimentati a tempo pieno, di cui i partiti non dispongono più da lungo tempo.
Non è sempre facile interpretare il pensiero e gli obiettivi del segretario generale della Cgil: ma le sue iniziative – a partire dalla “coalizione sociale’’ fino ad arrivare alla “rivolta sociale’’ passando per la “via maestra’’ e per la ritualità degli scioperi generali – sono indirizzate a fare della Cgil il soggetto protagonista del fronte dell’opposizione e il fondatore di una sinistra più radicale che sparga ai quattro venti le ceneri del riformismo (questo era lo scopo vero dei referendum falliti nei mesi scorsi).
La Cgil è la più grande associazione del Paese e, come sindacato, può avvalersi di un’agibilità economica e politica che non ha riferimenti in altre situazioni.
Ecco perché una confederazione che si dedica alla politique d’abord somiglia ad un soggetto transgender che pretende di gareggiare con atlete femmine.
Si si va a ricostruire il percorso che ha condotto allo sciopero generale del 12 dicembre lo si trova già tracciato nelle conclusioni dell’Assemblea generale della Confederazione dei primi giorni di luglio.
Prima ancora che si fosse cominciato ad ipotizzare le linee generali della legge di bilancio, la Cgil aveva presentato delle richieste evidentemente “fuori mercato’’ e indicato un piano di mobilitazione da cui traspariva in tutta evidenza che l’obiettivo non era cercare un accordo con il governo ma preparare lo sciopero generale.
Landini, infatti, non contesta solo le scelte adottate nei limiti di una manovra, ma le regole di cui si tiene conto in base alle intese a livello europeo che il leader della Cgil attribuisce alle politiche dell’austerità, come se una buona performance dei conti pubblici fosse inutile, se il crollo dello spread fosse un lusso inutile e i giudizi delle agenzie di rating un vezzo neoliberista (anche se la combinazione di questi elementi comporta una affidabilità dei titoli italiani sui mercati e il risparmio di 17 miliardi di interessi).
Era evidente che su queste premesse non c’era possibilità di confronto e che l’obiettivo della Cgil non era quello di cercare un accordo ma di fare lo sciopero generale.
La Confederazione è arrivata al punto di non firmare i contratti del pubblico impiego, dopo anni di ritardi.
È un modo anomalo di fare opposizione al governo datore di lavoro, prendendo quei lavoratori come “scudi umani’’ di una lotta senza quartiere all’esecutivo e alla sua maggioranza. Ma la grande contraddizione della Cgil è quella di essere due sindacati in uno.
A parte ciò che avviene nel pubblico impiego, le federazioni di categoria dei settori privati – compresi i bellicosi metalmeccanici – mantengono rapporti unitari e stipulano buoni rinnovi contrattuali, nazionali e decentrati, spesso senza dover ricorrere allo sciopero perché hanno relazioni fisiologiche con le controparti, mentre a livello confederale i rapporti sono interrotti come non si verificava da almeno 50 anni.
La prossima “discesa’’ della Cgil nel campo della politica verrà nel referendum sulla separazione delle carriere a fianco e a sostegno del NO, perché la magistratura “politicizzata’’ è considerata un’alleata nella lotta contro le destre.
Il clou della mistica landiniana è la polemica contro il riarmo che si accompagna all’indifferenza per le sorti dell’Ucraina.
Siamo tornati alla vicenda dei “partigiani della pace’’ che nell’immediato dopo guerra – sotto il simbolo della colomba disegnata da Picasso – erano i diffusori della propaganda dell’Urss contro l’Occidente guerrafondaio.
Per chi come il sottoscritto ha conosciuto la Cgil, ha vissuto il suo dibattito interno, ha lavorato con i grandi leader del passato rimane incomprensibile che un personaggio come Maurizio Landini sia potuto diventarne il “padre padrone’’.
E che i media lo portino a spasso come una Madonna pellegrina, consentendogli di parlare a ruota libera senza che i conduttori gli correggano gli evidenti strafalcioni, perché Landini racconta di un mondo che esiste solo nei suoi incubi.
















