Alla vigilia del vertice Ue sul bilancio 2028-2034 uno studio PromethEus chiede di ripensare il Qfp come leva di competitività. Il nuovo fondo europeo rischia però di essere sotto finanziato e poco incisivo. Senza più risorse e migliore governance, l’ambizione europea resterà incompiuta. L’analisi di Stefano da Empoli
Mentre si avvicina a grandi falcate il vertice dei capi di stato e di governo europei che la prossima settimana proverà a trovare un accordo su struttura e macro-voci del prossimo Quadro finanziario pluriennale (QFP), cioè il budget dell’UE per il periodo 2028–2034, l’Europa si trova di fronte a una scelta cruciale: continuare ad appoggiare nuove ambizioni su vecchie strutture di governance oppure riprogettare il bilancio come un autentico motore di competitività e coesione.
L’ultimo ciclo di finanziamento ha messo in luce sia i punti di forza sia le fragilità del modello di policy europeo.
Il prossimo determinerà se l’Unione sarà in grado di trasformare l’intento strategico in capacità effettiva. Questa è la premessa del nuovo studio, presentato nei giorni scorsi a Bruxelles, di PromethEUs, una rete di quattro importanti think tank dell’Europa meridionale — Elcano (Spagna), I-Com (Italia), IPP Lisbon (Portogallo) e LIEE (Grecia).
Una delle principali novità e forse al momento la legacy più tangibile del rapporto Draghi è la creazione di un Fondo europeo per la competitività (European Competitiveness Fund, ECF), al quale sono dedicate nella proposta della Commissione risorse pari a 234 miliardi di euro.
Una novità che esprime sia l’ambizione di fondo sia le sfide strutturali che ne determineranno l’efficacia. L’ECF rappresenta la principale risposta dell’Unione europea alle preoccupazioni di lungo termine legate alla competitività, all’autonomia strategica e alla capacità di innovazione.
Sostituendo quattordici programmi distinti con un unico strumento e organizzando le priorità in quattro “finestre” di policy, il Fondo punta a ridisegnare il panorama degli investimenti dell’UE nel prossimo QFP. Tuttavia, questa semplificazione, da sola, non è sufficiente senza risorse adeguate, meccanismi chiari di prioritizzazione e solidi abilitatori orizzontali.
Certamente un quadro più unitario migliora la trasparenza, facilita il monitoraggio della spesa europea e offre un’interfaccia più chiara per imprese e autorità pubbliche.
Il modello “a architettura aperta” dell’ECF introduce bilanci flessibili, consentendo all’UE di riallocare risorse in risposta a mutamenti geopolitici o tecnologici.
Questa flessibilità, però, comporta anche sfide di governance: in assenza di criteri di priorità trasparenti, il processo decisionale rischia di diventare lento, controverso o incoerente, rendendo più difficile una programmazione prevedibile delle risorse e minando alla base la logica di lungo periodo che dovrebbe guidare il processo di innovazione.
Il rischio è che alla prova dei fatti si possa trasformare in un fondo emergenziale, a curare le crisi industriali e alleviare i tanti settori in sofferenza a causa della concorrenza extra-UE.
Un’altra domanda cruciale riguarda l’adeguatezza delle risorse e come riuscire a creare l’effetto palla di neve, sommando risorse pubbliche degli Stati membri e soprattutto fondi privati per raggiungere quegli ottocento miliardi, poi diventati milleduecento, di investimenti annuali auspicati da Mario Draghi per rendere più competitiva l’economia europea.
Nonostante il consolidamento dei programmi e l’incremento della capacità finanziaria, il bilancio complessivo dell’ECF resta infatti ben al di sotto del livello ritenuto necessario per colmare il divario di competitività dell’UE rispetto a Stati Uniti e Cina.
Ciò è particolarmente evidente nella finestra dedicata alla transizione pulita e alla decarbonizzazione, le cui risorse limitate rischiano di ostacolare i progressi in materia di efficienza energetica, diffusione delle tecnologie pulite e adattamento climatico – ambiti che, secondo le stime della BCE, presentano già un gap di investimenti pari al 2,7–3,7% del PIL dell’UE.
Un sottoinvestimento persistente nelle infrastrutture energetiche potrebbe, a sua volta, compromettere la transizione digitale europea, inclusa la diffusione di tecnologie ad alta intensità energetica come l’intelligenza artificiale.
Di contro, la finestra relativa all’Industria della difesa e spazio beneficia di un aumento significativo delle risorse, riflettendo un chiaro cambio di priorità strategica. Con una dotazione di 125 miliardi di euro, diventa il pilastro centrale dell’ECF e potrebbe rafforzare la leadership tecnologica europea nelle capacità dual-use e nelle catene di approvvigionamento critiche.
Se tradotti in progetti efficaci, gli investimenti nella produzione per la difesa, nelle infrastrutture spaziali e nella resilienza delle supply chain potrebbero rafforzare la sicurezza economica dell’Europa.
La condizione di base tuttavia è un’adeguata priorità all’innovazione dual-use per massimizzare le ricadute sull’economia nel suo complesso, come successo storicamente negli USA.
Occorre però ricordarsi anche accanto al tema dell’accesso delle imprese ai finanziamenti, secondo le evidenze più recenti provenienti da indagini della BCE e della Commissione, carenze di manodopera qualificata, costi di produzione e oneri regolatori costituiscono sfide ancora più pressanti.
Per questo motivo, gli abilitatori orizzontali dell’ECF – iniziative sulle competenze, servizi di consulenza, hub per l’innovazione, accelerazione d’impresa e misure mirate per le PMI – risultano essenziali.
Se ben progettati, potrebbero migliorare la capacità delle imprese di adottare nuove tecnologie, scalare all’interno del Mercato unico e orientarsi nel quadro normativo.
Le esperienze del CHIPS and Science Act statunitense e delle strategie cinesi basate sulla “catena dell’innovazione” confermano l’importanza dello sviluppo delle competenze e della capacità innovativa a livello regionale.
In conclusione, pur rappresentando un’evoluzione cruciale nella governance degli investimenti dell’UE, l’ECF non è sufficiente, da solo, a colmare il divario di competitività europeo.
Il suo successo dipenderà dall’esistenza di criteri di priorità chiari all’interno delle singole finestre di policy, da un coordinamento efficace con Horizon Europe, per il quale lo studio PromethEUs auspica una maggiore integrazione tra l’eccellenza nella ricerca e la diffusione industriale, che oggi sono di fatto silos separati, ma anche con la politica di coesione e le iniziative nazionali, dalla capacità di attrarre investimenti privati e dalla solidità degli abilitatori orizzontali nel creare un reale level playing field in tutta l’Unione, senza lasciare indietro intere regioni.
La proposta di ECF mostra che all’Europa non manca l’ambizione, almeno negli intenti. Ciò che manca è l’allineamento e l’attuazione. Il prossimo QFP avrà successo solo se saprà riconciliare performance e capacità, eccellenza e diffusione, autonomia strategica e
coesione territoriale. La domanda non è più se l’Europa sia in grado di fissare obiettivi audaci, ma se riuscirà finalmente a costruire i sistemi capaci di realizzarli.
















