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L’approccio dirompente di Marchionne raccontato da Roberto Di Maulo (Fismic Confsal)

Marchionne

Articolo pubblicato sul numero 89 della rivista Formiche – febbraio 2014

Il primo giorno dell’anno Sergio Marchionne ha annunciato l’acquisizione del 100% di Chrysler delineando così un gruppo multinazionale, un global player per dimensioni (oltre 300mila dipendenti worldwide), candidato autorevolmente a essere nel gruppo di testa dei pochi produttori mondiali (si stima che saranno al massimo 6 o 7) che supereranno gli impervi scogli della crisi economico- finanziaria che scuote il mondo fin dal 2008. Recentemente, inoltre, è stata annunciata la sua riconferma alla guida della multinazionale Fiat-Chrysler, che presto adotterà un nuovo nome, fino al 2017. E infine, con i previsti interventi su Cassino per l’Alfa, presto il Lingotto concluderà il ciclo di investimenti che sta facendo risorgere a nuova vita l’industria automobilistica italiana.

L’amministratore delegato, Sergio Marchionne, ha aperto nuovi e importanti capitoli nella storia della più grande azienda automobilistica italiana. Nel 2004 entra in una Fiat prostrata dalla morte in rapida successione di Gianni e Umberto Agnelli, una società virtualmente fallita e pronta a portare i libri in Tribunale; molti lo descrissero da subito come un commissario liquidatore, ma a me piacque subito l’approccio diretto, non mediato con i problemi. Fin dal primo incontro nel luglio 2004 è scattata una fiducia reciproca, basata su un semplice fatto: compresi che la persona che avevo davanti era infastidita dalle problematiche politiche, dai discorsoni pieni di prosopopea di alcuni miei colleghi (ricordo in particolare l’aria annoiata con cui ascoltò il segretario della Cgil). Apprezzava, e apprezza tuttora, la franchezza, i discorsi leali e sinceri, anche le critiche basate su dati di fatto, supportate da esempi concreti di vita vissuta, senza tanti giri di parole. Ricordo che gli feci l’esempio della assurdità che i concessionari Iveco fossero chiusi nel mese di agosto, proprio quando i camionisti hanno più tempo per scegliere il mezzo e altri esempi semplici che dimostravano che era inutile continuare a prendersela con gli operai che, mediamente, fanno il loro dovere coscienziosamente quando la catena a monte e a valle è meno lacunosa (ricordo che gli raccontai dello sconcerto con cui il cliente andava a ritirare la propria macchina e, quando il venditore alzava il telo per fare scena, scopriva spesso che la macchina in questione era un’altra).

Non so se sono state solo le mie parole a convincerlo, ma da subito partì una attenta analisi e provvedimenti sia contro la troppa burocrazia interna, sia sul sistema dei concessionari, sia su quello dei fornitori. I risultati non si fecero attendere e l’azienda rialzò il capo, si evitarono disastri finanziari e vennero anni migliori. Un plauso speciale va rivolto a Marchionne per l’operazione Chrysler, soprattutto se si pensa che Daimler appena 15 anni fa pagò uno sproposito per acquisire il terzo gruppo automobilistico americano e che neanche 10 anni fa, invece, un fondo di investimenti statunitense sborsò oltre 9 miliardi di dollari  per lo stesso scopo. Alla Fiat l’intera operazione costerà 1,75 miliardi di dollari, più 700 milioni nei prossimi quattro anni collegati al raggiungimento di obiettivi di produttività e all’introduzione della metodologia organizzativa W.C.M. da parte dei lavoratori americani. Un altro capolavoro finanziario e industriale del nostro nativo abruzzese, figlio di un carabiniere.

Nel 2009 la grande intuizione con l’entrata in Chrysler di Fiat in cambio inizialmente di progressi tecnologici e in particolare nei settori motoristica e trasmissioni che rendessero più ecologico l’impatto delle vetture prodotte dalla casa americana. Anche con Obama, a quanto mi si dice, l’impatto fu immediato e diretto. Da allora anche la Chrysler riprese il volo e oggi ha restituito interamente con gli interessi i prestiti ottenuti dall’amministrazione Usa e con il mese di dicembre ha segnato il 44esimo mese consecutivo di aumento di quote di mercato. E qui non si tratta di difendere Marchionne a prescindere, perché siamo di fronte a dati di fatto concreti che non possono essere contestati. Ad esempio, un altro capitolo, molto importante secondo me, per comprende- re l’uomo Marchionne è sicuramente dato dalla decisione con cui ha spezzato i rituali concertativi con un vecchio modo di fare relazioni sindacali in Italia, compresa l’uscita della Fiat dalla Confindustria. Sono stati momenti drammatici quelli che abbiamo vissuto da protagonisti, su entrambi i lati del tavolo, ciascuno con la propria responsabilità, con la vicenda della Panda a Pomigliano tra maggio e il 7 luglio del 2010. Il risultato è che oggi la Fiat ha stabilimenti di grande prestigio in Italia, tra i primi per produttività ed efficienza in Europa.

È quindi possibile fare grande industria nel sud, come già dimostrano Pomigliano e l’impianto Sevel e come farà tra pochissimo Melfi; è possibile produrre auto di gran pregio nel segmento del lusso, come già accade oggi a Grugliasco, oltreché a Modena con Maserati e a Maranello con Ferrari, e come sarà a breve sia a Mirafiori sia a Cassino. Certo sarà necessario fare ancora dei cambiamenti, soprattutto di mentalità nell’assemblaggio delle vetture. Ma la rinascita del marchio Alfa, la definitiva consacrazione a nuova vita di quello Maserati, la modularità multifunzione del marchio 500 e di quello Panda assicurano agli stabilimenti italiani prospettive di lungo termine in cui la Fiat-Chrysler entrerà sempre più in competizione con i marchi tedeschi di alta gamma. Non si può certo dire che tutto sia stato compiuto, la strada sarà ancora lunga e ci saranno sempre forze conservatrici che cercheranno di ostacolare e boicottare questo processo di profondo cambiamento; ma oggi, grazie al sacrificio dei lavoratori italiani che hanno compreso la posta in gioco e non hanno esitato a schierarsi a favore del cambiamento e alla tenacia tipicamente abruzzese del ceo di Fiat-Chrysler, questa affascinante partita il sistema-Paese potrà giocarsela e, probabilmente, speriamo, vincerla.

 



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