Il referendum sull’Ilva? Solo un’arma politica perciò ha fatto flop, ragiona il giornalista e scrittore Angelo Mellone, tarantino, dirigente di Radio Rai e autore per Marsilio di “Acciaiomare-Il canto dell’industria che muore”. Invece grazie all’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) si sono dati tre anni al gruppo Riva per l’ambientalizzazione: “Questa doveva essere la maniera per affrontare dall’inizio la questione, salvaguardando anche un principio di interesse nazionale, perché Taranto è la storia dell’acciaio, ma la storia dell’acciaio è soprattutto Taranto”.
Nonostante l’imponente mobilitazione mediatica e politica su un tema delicatissimo, il referendum sull’Ilva è fallito. Come mai?
“Nell’assurdità dei due quesiti, che chiedevano se si era d’accordo con la chiusura totale o parziale dello stabilimento. Si aggiunga la sentenza della Consulta che ha dichiarato costituzionale la legge che dà tempo all’Ilva di ambientalizzarsi attraverso l’Autorizzazione Integrata Ambientale, prevedendo sanzioni durissime in caso di non ottemperanza alle prescrizioni. Quindi un referendum già assurdo in partenza, che poi è stato superato dagli eventi”.
Perché allora chiamare i cittadini ad esprimersi?
“Una cosa che non stava in piedi logicamente, e che è stata utilizzata come arma di mobilitazione politica dopo il ceffone che quelli che definisco ‘ambiental-qualunquisti’ hanno preso dalla Corte Costituzionale. Hanno anche tentato una prova di forza portando la gente ai seggi, rimediando un flop clamoroso, che penso chiuda la partita, direi definitivamente”.
E adesso?
“Credo sarebbe dovuto essere il momento invece di fermarsi a riflettere per comprendere come Taranto abbia sì dei problemi occupazionali, ambientali, sanitari e di inquinamento che non possono essere lasciati in mano a minoranze urlanti”.
Come preservare i diritti (costituzionalmente garantiti) alla salute, al lavoro e a fare impresa?
“C’è un’Aia che, da cittadino, ho sostenuto sin dall’inizio, assieme a un’azione meritoria del ministro dell’Ambiente Clini che ha raccontato ai tarantini una verità: lì c’è uno stabilimento che è la storia di Taranto, che ha inquinato fuori norma (bisognerà vedere quanto) per anni interi, che incide per la metà del pil provinciale. L’idea di affrontare e risolvere problemi decennali con la bacchetta magica è impossibile. Invece si è costretto in questo caso il gruppo Riva a fare i conti con se stesso e con le azioni che devono essere attuate, mettendo in campo un impegno di miliardi di euro per finire l’ambientalizzazione dello stabilimento, e si è detto loro: benissimo, avete tre anni per farlo. In caso contrario ci saranno multe pesantissime, fino all’idea di espropriare l’intero sito. Questa doveva essere la maniera per affrontare dall’inizio la questione, salvaguardando anche un principio di interesse nazionale, perché Taranto è la storia dell’acciaio, ma la storia dell’acciaio è soprattutto Taranto”.
Ma abbiamo a che fare con un territorio che presenta un problema drammatico…
“Ovvero l’emigrazione della sua parte migliore, quella che dovrebbe essere la classe dirigente. Non a caso in tutti questi mesi, continuo a dire, a fianco a mobilitazioni piuttosto isteriche non è emerso alcun progetto reale di rilancio e sviluppo, in chiave soprattutto industriale o di green economy. Non è che si può prendere un’area a vocazione industriale e cambiarla di punto in bianco, se non la vacua riproposizione del solito binomio agricoltura-turismo”.
Cosa si augura quindi?
“In primo luogo che imprenditori (non solo quelli locali), investitori esteri e forze sociali si pongano il problema di una città che deve rimane e a vocazione industriale ma che, il più rapidamente possibile, superi la monocultura dell’acciaio”.
Il verde Bonelli punta il dito sul disinteresse mostrato da Grillo verso il referendum: è uno dei cosiddetti ambiental-qualunquisti di cui sopra?
“Non è il solo. A Taranto non c’è una forza ambientalista, semplicemente vi è stata una mobilitazione di un pezzo minoritario di città che sosteneva come tutti, lì, si ammalassero e morissero. Con l’unico effetto di devastare mediaticamente la sua immagine, anche grazie a giornalisti compiacenti, che come ho scritto più volte sono venuti a fare del turismo nel luogo del dolore. Creando danni economici: oggi la gente non compra più le cozze tarantine. Poi vorrei sapere: come si fa a parlare di turismo quando poi si dice che in quella terra ci sono malattie e morti? Penso che alcune posizioni siano fuori dalla grazia di Dio, ciò non toglie che Taranto abbia degli evidenti problemi sanitari e di inquinamento, ma tali nodi vanno sottratti al monopolio di forze minoritarie fanatiche, estremistiche e fondamentalmente impolitiche”.
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