Ci hanno messo un po’ a capirlo o meglio, a far vedere che lo sapevano, ma finalmente gli Stati Uniti hanno fatto capire a Recep Tayyip Erdogan che sono pronti a colpirlo sull’unica cosa che gli interessa veramente, ossia i soldi, e che davanti a questa non c’è Gülen o Siria che tenga.
La decisione della Commissione esteri del Senato di limitare i prestiti delle istituzioni finanziarie internazionali alla Turchia finché il pastore Andrew Brunson non sarà liberato, suona come una specie di ultimatum, dove la circostanza che ha determinato questa scelta conta fino a un certo punto.
La verità è che l’amministrazione Trump nei confronti della Mezzaluna sta assumendo un atteggiamento molto più pragmatico e meno attendista della precedente. Andrew Brunson è stato arrestato nell’ottobre 2016, pochi mesi dopo il golpe fallito, per il quale è stato incolpato Fethullah Gülen, ex imam in autoesilio guarda caso proprio negli Usa, a capo di una fazione importante della destra islamica turca, un tempo alleato di convenienza del presidente Erdogan e oggi considerato il nemico numero uno del Paese.
Brunson, come decine di migliaia di altre persone, è stato accusato di fare parte del suo network, oltre che di avere legami con il Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, organizzazione separatista curda, da sempre sospettata dalla Turchia di ricevere finanziamenti dagli Usa.
È chiaro che dietro al rilascio del pastore Brunson ci sono almeno 15 anni di conti aperti, nei quali la Turchia si è trasformata da un alleato affidabile a una mina impazzita, in cerca di un suo ruolo nell’arena internazionale e gli Stati Uniti hanno tollerato questa esuberanza turca per diversi motivi, economici e di opportunità, inclusa probabilmente la sottovalutazione di quanto una Turchia lasciata troppo a briglia sciolta sarebbe diventata un problema per gli equilibri regionali, dove la grande sinergia con Mosca rappresenta solo l’ultimo episodio in ordine temporale.
La decisione della Commissione del Senato rappresenta il secondo warning nel giro di pochi mesi. Il primo era stato il processo del businessman turco-iraniano, Reza Zerrab, accusato, a ragione, di aver aiutato la Mezzaluna ad aggirare le sanzioni contro la repubblica islamica.
Magari la decisione della Commissione del Senato non avrà seguito, perché la Turchia restituirà il pastore Brunson. Ma di certo la scelta di colpire Ankara sui soldi in ingresso nel Paese è un messaggio importante per il presidente Erdogan, che arriva in un momento in cui l’economia turca naviga in pessime acque. E se gli Stati Uniti vogliono mettere l’ex alleato in una situazione ancora più difficile, sanno come fare.