Espulso dal regime di Assad, sequestrato dall’Isis. Il destino di padre Paolo Dall’Oglio sembra riassumere in sé il destino del popolo siriano: un popolo che è stato espulso dal suo Paese, sequestrato dai signori della guerra. La storia di Dall’Oglio è dunque la storia di altre decine di migliaia di siriani inghiottiti nella notte siriana dei quali non si parla, non si sa, non si chiede. A questi sequestrati si aggiungono 5milioni di scacciati all’estero, 6milioni di senza tetto, milioni di feriti, e poi un fiume di torturati e violentate, poi seppelliti in fosse comuni. Tutto questo occupa lo spazio di titoli di coda, e il nome di Dall’Oglio è tra i pochi che conservano ancora la forza per far riemergere tutti costoro dall’oblio, ogni tanto. Il tempo rischia di essere più forte della sua forza? Può essere, ma le tantissime persone che lo hanno conosciuto hanno sentito la forza di un uomo contagioso, per il suo essere un mistico e l’avere contemporaneamente l’urgenza dell’agire sociale.
Per questo la sua comunità monastica, Mar Musa, è ancora un’oasi florida di umanità e rispetto reciproco e i siriani dopo cinque anni di “tanatocrazia” siriana, o dittatura della morte dove la tortura ha unito la dimensione della ricerca di notizie, dell’intimidazione di massa e dello sterminio in un nuovo sistema di potere. Paolo aveva capito questo rischio e non può che essere ricordato, sentito presente, da tantissimi. I musulmani ricordano che lui gli diceva di essere innamorato dell’Islam da credente in Gesù, parlandogli della sua affascinante ermeneutica dell’elezione da esclusione, come fu escluso Ismaele. Ma l’amore addolorato che accompagna la memoria di Paolo oggi si intreccia a una domanda: fuori dalle strade, nei palazzi del Medio Oriente, e non solo, chi vuole conoscere la verità sul sequestro di padre Paolo Dall’Oglio? La domanda, essenziale a cinque anni dal giorno del suo sequestro, il 29 luglio del 2013, potrebbe essere anche formulata così: chi non vuole che si rompa il muro che è stato eretto intorno alla storia, al destino del gesuita romano.
Alcuni mesi fa, sul Raqqa Post, uno degli uomini che visse con Paolo fino al momento della sua sparizione, ha potuto finalmente raccontare tutto. Ha scritto che Paolo visse in silenzio, con evidente apprensione, forse paura, le ore precedenti la sua terza visita al quartier generale di quei gruppi jihadisti che di lì a breve sarebbero confluiti nell’Isis. Aveva cercato un appuntamento già due volte, poi vedremo perché. Intanto serve dire che dopo i due tentativi andati ad vuoto, il terzo prometteva di metterlo a confronto con un emiro, l’autore del racconto cui facciamo riferimento specifica che si trattava del responsabile dei quartieri orientali della città. Paolo andò all’appuntamento alle 13,00 del 29 luglio, ma all’uomo che lo accompagnava in macchina chiese di farlo scendere poco prima, per paura che potessero fargli qualcosa. Dopo tre ore l’autore del racconto e un suo amico tornarono a chiedere notizie del loro amico Paolo.
Dopo un’inquietante attesa si presentò un emiro con giubbotto esplosivo e due guardie del corpo con armi spianate. E disse di non sapere nulla di lui. Gli esperti di cose dell’Isis hanno ricostruito che quell’uomo era Abd-el Rahman al Faysal abu Faysal. Non era un lavoro difficile, ma un lavoro da esperti sì. Ora che un gruppo di giornalisti e amici di Paolo lo ha ricostruito, il collega della Rai Amedeo Ricucci è andato a Raqqa, appurando che costui è lì, a Raqqa. Sarebbe il caso di interrogarlo, no? Sarebbe il caso di chiedergli se davvero non ricordi, non sappia nulla di un gesuita che voleva chiedere loro perché avessero sequestrato un giovane leader della rivoluzione contro Assad, attivo nell’accoglienza dei profughi in città. Non ricorda neanche quel visitatore che voleva sapere che intenzioni avessero nei confronti dei cristiani, quasi presago di quanto l’Isis avrebbe fatto di lì a breve a Mosul? Il documentario chiaro, coraggioso e toccante di Amedeo Ricucci, che sarà trasmesso domani alle 23,30 da Raiuno, fa intendere che a lui non è stato possibile avvicinare l’emiro al Faysal.
Perché? E perché non risulta che richieste di indagini su Paolo siano giunte alle autorità di Raqqa? La situazione sul terreno è complessa, c’è chi dice che l’emiro abbia sostegni tribali in zona e questo spiegherebbe la cautela, le prudenza delle autorità. Ma sono mesi che si poteva fare di più. Ci sono state richieste in tal senso? La verità su Paolo può essere scomoda per tanti, a cominciare dall’emiro, ma non solo per lui. Gli intrecci, gli scambi, i patti segreti, tutto questo è stato di casa dalle parti di Raqqa per anni. Di quanti segreti può essere geloso custode uno che ha svolto un ruolo di punta in una terra dove transitavano armi, petrolio, ostaggi? Al Faysal sarebbe stato nello strettissimo giro del più noto abu Luqman, governatore di Raqqa nell’epoca Isis.
Le macerie di Raqqa sono stese come una coltre pesante sulla storia di Dall’Oglio che però non è ammissibile rimanga insabbiata tra l’odore di morte e di sprezzo per la vita che avvolge quei detriti e le loro memorie. Lo dobbiamo a lui, a decine di migliaia di siriani scomparsi come lui… e a noi stessi.