La corrispondente da Washington del quotidiano emiratino The National (edito in lingua inglese ad Abu Dhabi e di proprietà del governo) scrive che l’amministrazione Trump sta organizzandosi per ospitare un vertice del Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc) negli Stati Uniti. Il giornale dice di avere contenuti esclusivi sull’agenda del vertice, ed essendo di linea editoriale governativa (eufemismo), la cosa è interessante.
Tema principale del vertice, la cooperazione in materia di sicurezza, comprese le minacce alla navigazione marittima e ai missili balistici: il lavoro contro l’aggressione dell’Iran (nemico contro cui tutti i membri si trovano più o meno d’accordo) e gli sforzi per contrastare l’estremismo.
La Casa Bianca vuole vedere più cooperazione tra i paesi in materia di difesa missilistica, addestramento militare, antiterrorismo e altre questioni come il rafforzamento dei legami economici e diplomatici regionali, dicono quattro delle fonti a The National.
È interessante che si torni a parlare apertamente di quella che viene definita la “Nato araba”, un’alleanza militare a largo perimetro tra paesi sunniti dell’area Mena, guidata dai sauditi, lanciata più o meno pubblicamente da Mohammed bin Salman nella fase iniziale della sua scalata al trono e messa in operatività in fase beta (e più che altro provvisoria) con l’intervento contro gli Houthi in Yemen. Un’operazione strategica che procede bene a posso stanco da tre anni, in questa nuova ondata retorica destinata a sollevare tensioni ulteriori con l’Iran, con cui gli Stati Uniti sono sempre più aggressivi seguendo un’agenda che dal Golfo è spinta più dagli Emirati che da altri (vedi Arabia Saudita) — un po’ come la Nato occidentale con Mosca, quella araba ha come obiettivo profondo la dissuasione verso Teheran.
La Casa Bianca — che sostiene apertamente il piano militare da maggio dello scorso anno, ma che lo ha sposato già con la precedente amministrazione — ha confermato al giornale emiratino che sta lavorando sul concetto di alleanza con “i nostri partner regionali ora e sono stati per diversi mesi” e spera di trasformare l’alleanza provvisoria che va sotto il nome “Mesa” (Middle east strategic alliance) in qualcosa di più concreto con il vertice che vorrebbe ospitare a Washington. “Mesa servirà da baluardo contro l’aggressione iraniana, il terrorismo, l’estremismo e porterà stabilità in Medio Oriente”, ha detto un funzionario del Consiglio di sicurezza nazionale statunitense.
Gli Stati Uniti e gli alleati del Golfo hanno interessi comuni nei conflitti nello Yemen e in Siria e difendono le rotte di navigazione attraverso le quali vengono spedite molte delle forniture mondiali di petrolio. Washington, Riad e Abu Dhabi accusano l’Iran di destabilizzare la regione, fomentando disordini in alcuni paesi arabi attraverso gruppi politici e paramilitari fidelizzati a livello ideologico (con link economici e militari) e usati come proxy per diffondere il proprio avventurismo da Teheran. Nelle ultime settimane la linea americana è diventata ancora più affilata, con consiglieri che parlano di regime chance.
Iniziative simili sono state prese anche da parte delle precedenti amministrazioni statunitensi per sviluppare un’alleanza più formale con gli alleati del Golfo e degli arabi, ma hanno fallito. Stavolta, oltre ai paesi membri del Gcc — Arabia Saudita, Emirati Arabi, Oman, Bahrein, Kuwait e Qatar — saranno presenti anche rappresentanti di Egitto e Giordania. Possibile che la data cadrà in ottobre, ma i dettagli e i tempi sarebbero ancora da definire. Inizialmente, gli Stati Uniti speravano di convocare l’incontro a Camp David a settembre scorso e poi a maggio di quest’anno, ma “i problemi di pianificazione e l’attenzione del presidente degli Stati Uniti sulla Corea del Nord hanno costretto a cambiare i piani”, spiega il giornale di Abu Dhabi; motivo informale, invece: gli Emirati hanno una linea durissima con il Qatar e non volevano assolutamente riunirsi nel campo neutro americano.
Argomento che fa da elefante nella stanza al piano americano è propri la crisi col Qatar (l’esperta di dinamiche del Golfo Cinzia Bianco aveva anticipato i contenuti sull’argomento su queste colonne) che secondo le fonti emiratine però potrebbe anche non far parte dell’agenda della riunione di ottobre. Due funzionari di alto livello di The National dicono che Washington vede la crisi come una disputa inter-Gcc in cui il Kuwait conduce la mediazione e non vuole sovrapporsi. Sulla situazione del Qatar e sull’agenda del summit, Abdel Aziz Aluwaisheg, assistente del segretario del Consiglio di cooperazione del Golfo con delega agli affari politici e alle negoziazioni, ha dichiarato: “Nella riunione del Gcc del dicembre 2017 c’è stato un accordo per mantenere la mediazione in una pista parallela separata guidata dall’emiro del Kuwait e che continuerà così”, tutto il resto, ha aggiunto è “business as usual e corre su una pista separata” dal tema centrale della riunione americana.
Il principale ostacolo sul dossier Qatar, ossia l’ostilità emiratina, potrebbe essere in parte superata anche grazie al lavoro americano? Pochi giorni fa, il comandante della grande base strategica statunitense in Medio Oriente di al Udeid era insieme ai vertici di Doha alla deposizione della prima pietra del prossimo ampliamento: una dimostrazione pubblica che per Washington è importante avere un Golfo unito — magari contro l’Iran.
Fonti che preferiscono restare anonime dicono a Formiche.net che in realtà gli Emirati Arabi sono “out for blood”con i qatarioti, ossia nervosissimi, e sono loro a portare avanti la linea aggressiva che dura da oltre un anno. La storia della Nato Araba, “su cui ormai solo Abu Dhabi sembra avere interesse” — “Per molti dei miei contatti tra i funzionari sauditi potrebbe anche evitarsi il vertice” ci dice la fonte —, è considerata dagli esperti della regione un’utopia. Però gli americani la appaggiano perché “funzionerebbe bene per il desiderio di disengagement nel Medio Oriente e deterrenza sull’Iran”, e forse perché l’attuale amministrazione “non ha molte competenze e strategie sulla regione”.