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Sessions fermi Mueller e la “vergogna” del Russiagate. Trump tuona su Twitter

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Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha lanciato l’attacco più diretto di sempre contro l’indagine sulle interferenze russe che sta conducendo lo special counsel Robert Mueller incaricato dal dipartimento di Giustizia. Il procuratore generale (ossia il ministro), Jeff Sessions, dovrebbe chiudere “right now“, subito, questa “situazione terribile” dell’inchiesta – nota anche come Russiagate – perché Mueller è in conflitto d’interesse, ha scritto Trump in un tweet, e i 17 “Angry Democrats” (democratici arrabbiati, definizione per certi versi geniale con cui il presidente ha chiamato il team legale del procuratore speciale) che stanno facendo il lavoro sporco per lui sono “una vergogna per gli Stati Uniti”.

È una richiesta eccezionale: il presidente chiede pubblicamente al suo ministro di bloccare un’inchiesta contro di lui. Il capo del dipartimento di Giustizia in realtà poco può fare, perché l’indagine è supervisionata dal suo vice, Rod Rosenstein, da quando Sessions ha deciso di ricusarsi per via di un coinvolgimento nell’inchiesta – è stato proprio Rosenstein a nominare, e fin qui difendere, Mueller, e teoricamente dovrebbe essere lui a chiuderne il mandato; a meno che Sessions non decida di interrompere la sua ricusazione. Trump ha più volte attaccato il ministro, un tempo suo ex alleato di ferro, per la decisione presa, accusandolo di debolezza.

Mueller sta indagando sulla profondità dell’operazione russa e su eventuali collusioni da parte del comitato elettorale di Trump col piano di Mosca, e contemporaneamente sta cercando di verificare se il presidente, una volta eletto, ha in qualche modo cercato di ostacolare il corso della giustizia – per esempio quando ha licenziato il direttore dell’Fbi, James Comey, che ai tempi stava guidando il Bureu nell’inchiesta (fu quella, dopo la ricusazione di Sessions, la goccia che portò Rosestein a scegliere di affidare l’indagine a un procuratore speciale).

Da qualche tempo si sa che il procuratore speciale sta pure valutando quanto gli attacchi di Trump contro Sessions, i tweet e le uscite pubbliche, siano state un tentativo di intralciare il corso delle indagini, di creare pressioni e forzature; per esempio, a giugno il presidente ha scritto su Twitter che Mueller stava continuando a indagare “tutto perché Jeff Sessions non mi ha detto che avrebbe ricusato se stesso”. Il tweet di oggi sembra essere materiale da inserire in questo fascicolo.

Gli attacchi di Trump e dei suoi uomini sul Russiagate e contro Mueller sono aumentati ultimamente: lunedì l’avvocato personale che sta curando gli interessi del presidente nel caso, l’ex sindaco di New York Rudy Giuliani, ha detto pubblicamente che “la collusione non è un crimine” – un’uscita che ha fatto notizia, anche perché è stata ripetuta dopo poche ore dal presidente stesso.

È vero comunque che la collusione non è un crimine formalizzato, però lo sono la cospirazione, le false testimonianze, l’ostruzione alla giustizia, che Mueller potrebbe imputare a fronte di eventuali prove.

Il tweet di Trump di oggi ne ha seguito un altro in cui il presidente è sembrato piuttosto innervosito dal processo che Mueller ha intentato (con 18 capi di imputazione) contro il suo ex capo della campagna elettorale, Paul Manafort. Da ieri in aula ad Alexandria, in Virginia, Manafort era finito sotto inchiesta sul Russiagate, ma gli inquirenti hanno scoperto su di lui altri reati (tra cui banca rotta, lavaggio di denaro sporco, evasione fiscale, assenza di registrazione come lobbista per un paese straniero). Il team politico e legale di Trump sostiene che le accuse di Manafort esulano dall’interferenza russa (ed è formalmente vero); anche il presidente ha cercato di creare distacco, precisando che il consulente “ha lavorato per me per molto poco tempo”.

In realtà il processo in atto è solo una parte, perché Muller sta ancora indagando in eventuali ruoli di contatto tra Manafort e i russi durante la campagna elettorale.


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