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Il messaggio choc di Alessandro Sandrini, rapito in Turchia dall’Isis

“Si sono stancati, stavolta mi ammazzano”. Potrebbero essere le ultime parole di Alessandro Sandrini, 33 anni, il giovane italiano, proveniente dalla provincia di Brescia e scomparso in Turchia dal 3 ottobre 2016. Site, un sito americano che si occupa di monitorare e pubblicare le attività online delle organizzazioni jihadiste, ha diffuso un video in cui Sandrini si è detto “stanco” di fronteggiare una situazione “intollerabile”. Nel video Sandrini appare provato, con la tuta arancione come quella dei detenuti di Guatanamo, che ormai siamo stati tragicamente abituati a conoscere. Alle sue spalle ci sono due uomini con il volto coperto e un mitra. Impossibile capire a quale organizzazione appartengano.

I contenuti del suo messaggio sono drammatici. “Mi danno la possibilità di comunicare per l’ultima volta. Chiedo all’Italia di aiutarmi, di chiudere questa situazione in tempi rapidi. È 2 anni che sono in carcere, non ce la faccio più. Mi hanno detto che sono stufi, che mi uccideranno se la cosa non si risolve in tempi brevi. Non vedo futuro, non so cosa pensare”. Il giovane, in apertura del filmato dice che è il 19 luglio. Nell’intervallo dei giorni fra la sua registrazione e la diffusione delle immagini, dunque, può essere successa qualsiasi cosa.

Un calvario per il giovane e la sua famiglia, che dura da quasi due anni. Alessandro Sandrini, dipendente di un’azienda in provincia di Brescia, era partito per la Turchia da solo, destinazione Adana, una località dell’Anatolia non lontana dal confine con la Siria. Lui, che non si era mai mosso dai confini nazionali, ha scelto proprio quel posto remoto, e turisticamente non certo dei più allettanti, per trascorrere una vacanza di una settimana. Era una persona difficile, a detta della stessa madre, che in quel momento stava vivendo un periodo di confusione. Arrivato in Turchia, chiama a casa e dice che va tutto bene. Poi il nulla.

Dovrà passare un anno prima che la donna riesca a sentire di nuovo la voce del figlio. Ma le notizie che porta, non sono buone. “Mamma so che mi stai cercando. Non so dove sono, mi hanno sequestrato, ti prego aiutami”. Il giovane dirà di essere stato rapito mentre si trovava sul ciglio di una strada ad Adana.

Seguono altri tre contatti importanti. Il 3 dicembre dello scorso anno, Alessandro chiede di pagare un riscatto: “Vogliono i soldi, non scherzano”, dice chiamando da un numero diverso rispetto a quello della volta precedente. Tre giorni prima di Natale, Sandrini dice di essere recluso in una stanza di tre metri per tre. Il 21 gennaio, la telefonata più drammatica. Il giovane accusa apertamente lo Stato italiano: “Non sta facendo nulla per salvarmi, vogliono farmi morire qui”. “Chi mi ha sequestrato – aggiunge il giovane – parla arabo e mi porta da mangiare con il capo coperto”.

Sotto sequestro con lui, c’è anche il giapponese Jumpei Yasuda, identificato come giornalista. Secondo gli inquirenti, Sandrini potrebbe trovarsi da qualche parte vicino al confine fra Turchia e Siria. Una zona dove è attivo sia lo Stato Islamico, sia una galassia di movimenti jihadisti. Un ambiente difficile in cui condurre le indagini e adesso a premere si è messa anche la variabile tempo.



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