Che le cose, in Italia, si stiano incasinando, é abbastanza evidente. Si fanno riunioni impegnative presso la presidenza del Consiglio. Ne scaturisce una bozza di programma, che il ministro dell’economia illustra al giornale italiano – Il sole 24 ore – più qualificato, per tutti coloro che si occupano, a vario titolo di economia e di finanza, e subito dopo partono le smentite.
Il bonus degli 80 euro, ai fini della copertura dell’inizio della Flat Tax, non si tocca. I ventilati aumenti dell’iva, che il ministro pensava di poter sterilizzare solo in parte, andranno, invece, totalmente rimossi. Il sistema di agevolazioni fiscali deve rimanere, così com’è. Che nessuno pensi a scomputarli per compensare le minori aliquote. Il salario di cittadinanza va subito approvato, senza pensare a rimodulare le somme già destinate al sostegno del welfare.
A meno che non si tratti di un gioco delle parti, è difficile pensare che la concordia regni sovrana.
Tutto ciò, complice una congiuntura internazionale che minaccia tempesta, aumenta lo stato di incertezza. Ci voleva solo la crisi turca che ricorda da vicino, con il rischio di un contagio verso molte banche europee (Spagna, Francia ed Italia), quella greca. Con differenze profonde, ma anche pericoli maggiori, considerando il peso di quel Paese negli equilibri non solo politici, ma geostrategici, dell’Europa. E mentre succede tutto questo, il presidente del Consiglio, in diretta Facebook, lancia il suo messaggio rassicurante. L’Italia, grazie ad una ritrovata consonanza con i “cittadini” é più forte e stimata che mai. Zucchero e caramello.
Intanto la borsa italiana crolla sotto i minimi dell’anno, e perde quasi il 15 per cento rispetto ai buoni risultanti dell’inizio di maggio. Mentre gli spread sui Btp a 10 anni sono di circa 150 punti più alti rispetto alla media dei dodici mesi, appena trascorsi. Hanno chiuso a a 267, contro i 109 della Spagna, per i propri Bonos. Ma che volete che sia? Il danno è per gli odiati “poteri forti”. Soprattutto per le banche. Per coloro che, a torto o ragione, appartengono alla “casta”. E che quindi, come si diceva una volta, non è un male se “anche i ricchi piangeranno”. Ci sarà sempre un Dio, come dice Erdogan, in grado di consentire al popolo di vincere la battaglia della vita.
E se così non fosse? A preoccuparsi dovrebbe essere soprattutto la Lega. I suoi elettori vivono principalmente grazie al mercato. Il loro reddito non deriva dalle elargizioni del Principe, erogate per compensare i propri sudditi del mancato sviluppo. Se l’economia dovesse regredire sarebbero le prime vittime sacrificali. Ci si aspetta, pertanto, un colpo che vada oltre la pur giusta rivendicazione dei successi politici registrati sul fronte della lotta all’immigrazione clandestina.
C’è un punto di forza straordinario dell’economia italiana che, purtroppo, non è adeguamento valorizzato. Quel forte attivo della bilancia commerciale che gli ultimi dati di giugno confermano ancora una volta. Nonostante il pericolo dell’incombente protezionismo. Se n’è parlato più volte ai fini di una corretta comprensione del quadro macroeconomico. E dei suoi riflessi sul piano finanziario: a partire dai limiti strutturali del Fiscal Compact.
Meglio, allora, lasciare la parola al Fondo monetario internazionale (2018 External Sector Report: Tackling Global Imbalances amid Rising Trade Tensions) “In generale – si legge nella lunga analisi – riforme che incoraggiano investimenti e scoraggiano eccessi di risparmi …. sono necessarie nei Paesi che presentano un surplus eccessivo, mentre puntare su riforme che riducano il costo del lavoro e migliorino la competitività sono più appropriate per i Paesi che risultano essere in deficit” con i conti con l’estero. Nel paper si citano esplicitamente la Germania e l’Olanda: valori imbarazzanti. Ma l’Italia non è da meno.
Ed ecco allora un utile esercizio per il ministro Tria, nell’approntare – si spera nel più breve tempo possibile – il quadro programmatico, che dovrebbe dare i numeri finalmente veri della possibile manovra. Darebbe un quadro di maggiore certezza agli operatori internazionali, nella speranza che la crisi turca non precipiti. Ed, al tempo stesso, dopo tanta scena concessa agli euroscettici ed ai patrioti europei, si comincerebbe a discutere seriamente di come modificare il Fiscal Compact, prima che, con un atto puramente burocratico, da qui a qualche mese, lo si inserisca definitivamente nell’ordinamento giuridico comunitario.