Dovremmo proprio evitare di fare anche stavolta quello che a noi italiani riesce benissimo, cioè cascare dalla padella alla brace. Già, perché invece proprio in queste ore stiamo facendo così e ora proviamo a spiegare perché.
A monte (la padella) c’è la privatizzazione delle nostre autostrade, fatta in fretta e furia alla fine degli anni ’90 (sostanzialmente dai governi di centro-sinistra) a condizioni eccessivamente favorevoli per i compratori (Benetton, Gavio e Toto i più importanti), che infatti in questi vent’anni hanno macinato utili come se piovesse a fronte di limitati investimenti in ammodernamento della rete e sicurezza degli impianti.
Sotto la padella però c’è la brace, quella in cui rischiamo di finire scegliendo una via come quella imboccata dal governo, via che fa poltiglia del diritto (in materia di revoca delle concessioni), della divisione dei poteri (per l’accertamento della verità), della tutela del risparmio (basta osservare andamento dei titoli in borsa) e della accorta gestione delle potenziali reazioni sui mercati internazionali (vedi crescita immediata del spread).
Quello che i nostri governanti sembrano non capire è che siamo in un mondo clamorosamente interconnesso, nel quale le soluzioni autarchiche non solo sono assai poco efficienti (si vedrebbe solo nel medio-lungo periodo, come insegna il caso Turchia), ma sono sostanzialmente impossibili, poiché fattori esterni finiscono per imporre prezzi assai maggiori dei benefici e per giunta in tempo più rapido.
Ecco allora perché la deriva imboccata è pericolosissima.
Da un lato il governo liscia il pelo alla (sacrosanta) arrabbiatura dell’opinione pubblica, che vuole la testa di qualcuno a fronte di un disastro con decine di morti.
Dall’altro però questo significa tentare di tramutare l’Italia in un Paese senza regole, dove il governo procede per annunci e dichiarazioni roboanti, cui seguono improbabili e sgangherati atti amministrativi o di legge.
Il presidente Conte, che si è definito “l’avvocato degli italiani”, dovrebbe tenere a freno i bollenti spiriti dei suoi vice premier, altrimenti finirà per essere lui stesso vittima di tutto ciò, proprio a causa delle contraddizioni evidenti che già si stanno manifestando.
A Genova il governo ha il dovere di compiere tre atti immediati, che sono propri del suo ruolo.
In primo luogo garantire la migliore gestione dei soccorsi e di tutte le altre emergenze, compreso il ritorno nella case delle tante persone ancora in strada. Da questo punto di vista lo sforzo pare ben avviato, con grande impegno e efficace coordinamento.
Secondariamente c’è da studiare un programma per il dopo, in particolare per riconsegnare alla città di Genova e all’Italia tutta la possibilità di muoversi in sicurezza il più rapidamente possibile.
Infine c’è il tema del rapporto con Autostrade per l’Italia, le cui eventuali responsabilità andranno accertate nelle sedi competenti.
Il governo però ha il diritto (ed anche il dovere) di valutare attentamente tutto l’impianto della concessione, in particolare guardando al futuro. Ed ha soprattutto il dovere di mettere mano ad un grande sforzo di investimenti per la messa in sicurezza della nazione.
Qui arriviamo al punto più importante.
Per fare questo sul serio serve autorevolezza in Europa e suoi mercati, perché altrimenti non ci saranno i soldi per fare un bel niente. Quindi non serve strillare battendosi le mani sul petto, serve un programma poderoso e raffinato in grado di trovare sostegni e non ostacoli.
L’Italia non può permettersi di imboccare la via del Venezuela, vagheggiando un ruolo dello Stato (dalle autostrade all’Alitalia) che ci riporta indietro di decenni e che non ha mai dato buona prova di sé.
L’Italia deve giocare nel mondo moderno, che piaccia o no ai ministri di questo governo. Le fughe dalla realtà danno all’istante un inebriante senso di onnipotenza. Ma finiscono per essere pagate duramente da tutti, nessuno escluso.