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Revocare la concessione ad Autostrade non conviene. Maresca spiega perché

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“La revoca ad Autostrade per l’Italia è una misura drastica e complessa e ricorrervi non conviene a nessuno, al governo in primis”. A spiegarlo a Formiche.net è Davide Maresca, avvocato e ricercatore universitario in diritto dell’Economia in seguito alla proposta del governo Conte di revocare la concessione ad Autostrada per l’Italia ritenuta colpevole del crollo del ponte Morandi alla vigilia di Ferragosto.

“Ha tutta l’aria di essere una boutade elettorale”, dichiara Maresca. “Mi sembra tecnicamente quasi impossibile arrivare ad una revoca che convenga a qualcuno. Non si tratta di revocare un pezzettino di concessione. La concessione o si revoca o non si revoca, e Autostrade per l’Italia ha il 70% delle autostrade italiane. Ciò significa che si revoca quasi tutta la rete autostradale italiana. E chi è in grado di gestire domani quella rete? Oggi in Europa i gestori che hanno la capacità di farlo non sono molti e il ministero da solo non ha le competenze per farlo. Il governo dovrebbe ipotizzare in modo estremo un meccanismo di gestione diretta attraverso Anas, che però si troverebbe a dismettere ogni partecipazione non funzionale a questo. Quindi è molto complesso”.

Al di là della sua effettiva realizzazione ecco quale sarebbe il meccanismo e i costi di questa operazione prefigurata dal governo: “La revoca può essere avviata secondo la procedura prevista dalla concessione e in particolare dell’art. 9 bis e come previsto dalla legge 241 del 1990, solo nel caso in cui ci siano circostanze straordinarie e imprevedibili. In questo caso il concedente deve darne notizia ad Autostrade e richiede una quantificazione dell’indennizzo. Se non si arriva ad un accordo si avvia un contenzioso per quantificare l’indennizzo. La disciplina applicabile prevede una serie di indicatori tecnici ed economici da tenere in considerazione, tra cui i valori degli asset non ancora ammortizzati da qui alla fine della concessione più una penale che di solito equivale al 10 per cento delle opere non ancora eseguite. L’iter potrebbe durare diversi mesi, anche anni in caso di contenzioso”, spiega l’esperto.

Quanto potrebbe costare alla casse dello Stato? “Il costo di tale operazione va quantificato secondo una serie di parametri. Difficile prevederlo con esattezza. Si tratta di decine di miliardi, almeno una ventina, ma potrebbero essere molti di più”.

Ma non è tutto. Esiste un rischio di disincentivo per gli investitori: “Nel quadro delle regole che il mercato accetta vige la decadenza della concessione a seguito di una procedura che accerti l’inadempienza del gestore. Arrivare invece ad una revoca in assenza di accertamento di responsabilità da parte della magistratura, e quindi in modo irrituale, potrebbe spaventare qualunque investitore. Nessuno sceglierà di investire miliardi in Italia se non è garantito il rispetto di tali regole. La certezza del diritto, e quindi il rispetto dei contratti è una delle condizioni che consente agli investitori di scegliere dove investire. E l’Italia non è un Paese autosufficiente sotto il profilo delle risorse pubbliche per cui il mercato finanziario è indispensabile per costruire le opere pubbliche”, sottolinea il ricercatore.

Ma a Genova è innanzitutto tempo di agire per ripristinare la viabilità. “Io rafforzerei il rapporto con il concessionario sotto il profilo delle cose da fare. Innanzitutto avviando un tavolo tecnico con Autostrade per l’Italia per mettere subito in opera i lavori per ripristinare il ponte e velocizzare quelli per la gronda di ponente, l’opera sussidiaria, anche se non alternativa al ponte Morandi. E parallelamente avviare uno screening degli altri ponti e opere sul territorio nazionale”.

Poi c’è da accertare la responsabilità di quanto accaduto: “Sotto questo profilo è necessario invece attivare le procedure di legge. Quindi dal punto di vista interno verificare se il ministero attraverso la sua direzione ad hoc, Vigilanza autostrade, abbia operato correttamente nel monitorare l’esecuzione dei lavori di Autostrade e nell’individuare quelli da porre in essere, e se quest’ultima abbia eseguito quello che era stato imposto dal concedente. Ovviamente c’è una dialettica tra concessionario e concedente che vede il primo voler fare tanto e il ministero che per contenere la spesa e le tariffe degli utenti spinge dalla parte contraria”.

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