Lo scontro tra il presidente americano Donald Trump e i colossi del Web si arricchisce di un nuovo capitolo a pochi mesi dalle delicate elezioni di midterm in programma a novembre. L’inquilino della Casa Bianca, di prima mattina, ha attaccato Google, colpevole di dare la priorità, secondo il suo punto di vista, alle ‘fake news’, ovvero ai media mainstream, rispetto a quelli conservatori generalmente più teneri con le sue politiche.
I TWEET DEL PRESIDENTE USA
Ancora una volta, per diffondere i suoi messaggi Trump ha usato il suo mezzo privilegiato, Twitter. “I risultati delle ricerche su Google per ‘notizie su Trump’ mostrano solo gli articoli e i punti di vista dei media Fake News. In altre parole, lo hanno TRUCCATO, per me e altri, in modo che quasi tutte le storie e le notizie siano NEGATIVE. La falsa Cnn spicca. I media repubblicani/conservatori e giusti sono tagliati fuori. Illegale? Il 96% dei risultati per ‘notizie su Trump’ è dei media di sinistra – ha scritto in due cinguettii alle 5:30 di mattina – molto pericoloso”.
IL FENDENTE A GOOGLE
Per il presidente americano -, che dà così una connotazione politica alla gerarchia delle news selezionate dal popolare motore di ricerca ma che continua a rifiutare la versione dell’intelligence secondo la quale Mosca abbia interferito e voglia continuare a farlo, proprio attraverso il web, nelle elezioni americane -, “Google e altri stanno sopprimendo le voci dei conservatori e nascondono informazioni e notizie che sono positive. Controllano cosa possiamo e non possiamo vedere. Questa è una situazione molto seria, sarà affrontata!”.
A COSA SI RIFERIVA TRUMP
È probabile, riporta il britannico Guardian, che il presidente Usa si sia riferito a un’analisi, divenuta virale, pubblicata da PJ Media, dove si sostiene che la maggioranza dei risultati di Google News in relazione a ricerche legate a Trump sarebbero legate a media politicamente di orientamento ‘liberal’, come appunto la Cnn, ma anche Atlantic, Politico e New York Times. Poco spazio avrebbero invece portali conservatori come National Review, The Weekly Standard e Breitbart, dietro il quale c’era l’ideologo del trumpismo Steve Bannon. Il sito web ha concluso che Google News – che sono il frutto di algoritmi che prendono in considerazione una serie di fattori ma che difficilmente verranno svelati – rappresenterebbe nel caso di ricerche di questo tipo un “un modello di pregiudizio (bias) nei confronti dei contenuti pendenti a destra”.
I conservatori e lo stesso presidente hanno più volte attaccato negli scorsi mesi e anche nei giorni passati la Silicon Valley, che sarebbe colpevole di sopprimere i punti di vista di destra (come quello di InfoWars di Alex Jones) e, per questo, proprio l’ex stratega di Trump aveva ipotizzato di trattare queste società come aziende di pubblica utilità. Pochi mesi fa il magnate newyorkese si era scagliato, per le stesse ragioni di Google, contro Twitter, reo di fare ‘shadow banning’, ovvero di limitare la visibilità degli account poco desiderati.
LE DIVISIONI CON I COLOSSI DEL WEB
A riaccendere le divisioni tra i giganti della Rete e la Casa Bianca si sono sommate anche altre vicende. In primo luogo ci sono state le recenti pressioni della Silicon Valley per una diversa gestione delle politiche dell’immigrazione (le maggiori aziende tech hanno inviato una lettera al segretario per la sicurezza interna Kirstjen Nielsen nella quale esprimono “seria preoccupazione” per le azioni della Casa Bianca che creerebbero ostacoli e pericoli per gli stranieri che lavorano negli Usa e minaccerebbero di “distruggere” le attività delle loro società). Mentre la settimana passata i manager di alcune delle più grandi società tech statunitensi, a partire da Facebook, Twitter, Microsoft e Alphabet (la holding di Google), si sono incontrate – senza la Casa Bianca – a San Francisco per discutere di come affrontare le elezioni di metà mandato.
VECCHIE FRIZIONI
In realtà, notano gli analisti d’oltreoceano, le tensioni tra l’attuale presidente americano e i colossi del Web sono nate ben prima del suo insediamento alla Casa Bianca, ovvero quando molte compagnie del settore avevano reso noto – in modo esplicito o attraverso finanziamenti – di preferire a Trump la candidata democratica Hillary Clinton. Uno strappo finora mai ricucito.