Sono in gran parte civili i cinquanta morti (e 105 feriti) vittime della settimana di scontri tra milizie a Tripoli, secondo le valutazioni ufficiali del portavoce del comitato di emergenza della capitale libica; sebbene al momento nessuno sia in grado di stabilire un bilancio preciso. Il premier designato dal processo di rappacificazione onusiano, Fayez Serraj, ha dichiarato lo stato di emergenza domenica, visto che gli scontri tra la Settima Brigata e le forze tripoline non si fermano.
La Settima è una milizia di Tarhuna, cittadina pochi chilometri a sudovest di Tripoli, dove Abdel Rahim al Kani è il leader politico e militare: sono ex gheddafiani ora allineati con gli islamisti di Khalifa Ghwell, deposto primo ministro del governo tripolitano. Alcune ricostruzioni dicono che potrebbe lavorare come quinta colonna tripolitana del generale con ambizioni politiche Khalifa Haftar, signore della guerra in Cirenaica e principale oppositore del piano con cui le Nazioni Unite intendono riunire il paese, ma in realtà gli uomini della Settima hanno detto di essere indipendenti.
Il gruppo armato di Kani – fiancheggiato da almeno una formazione minore, quella guidata da Imad Tarablusi, uomo armato coordinato da alcuni deputati di Tobruk – ha dichiarato la sua azione militare come risposta alla corruzione della capitale, dove alcune milizie sfrutterebbero la posizione guadagnata nel tempo come forze di sicurezza per ottenere in cambio (in una specie di ricatto) lauti pagamenti per le loro attività.
La situazione è piuttosto caotica, domenica circa 400 detenuti sono scappati da Ain Zar, un carcere vicino Tripoli, dopo chele guardie erano fuggite per evitare di rimanere coinvolte negli scontri. Al momento i combattimenti infiammano ad appena 6 chilometri da Piazza dei Martiri, il centro della capitale libica; si combatte nell’area dell’aeroporto, a Dahra, a Ben Ashour, a Girgarish, a Ghoat Shaal.
Alcuni cittadini italiani hanno iniziato a rientrare, ma le principali strutture, come l’ambasciata e gli impianti dell’Eni, continuano a lavorare. Il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha detto stamattina a Radio 24 di essere in “contatto diretto” con la Libia: “Ringrazio gli italiani, militari, diplomatici, addetti dell’Eni, che rimangono in Libia nonostante i rischi portati da un intervento militare senza senso, e con continue ingerenze della Francia per interessi economici”.
Salvini ha fatto riferimento ai collegamenti poco ufficiali tra Parigi e Haftar che potrebbero essere uno dei motivi dell’azione della Settima; oggi, per esempio, al Arabya, network di notizie saudita, si chiedeva chi ha dato il via per l’azione alla milizia “ambigua” di al Kani. Francia e Italia sono da tempo in competizione sulla Libia, anche se si tratta di posizioni non istituzionali: ufficialmente entrambi i governi sostengono il piano delle Nazioni Unite.
Palazzo Chigi – che ospita oggi una riunione di emergenza in cui saranno presenti i vertici di Difesa, Esteri e intelligence – smentisce l’idea circolata dalla serata di domenica secondo cui l’Italia penserebbe a creare una task force militare da inviare a difesa di Serraj. “L’Italia continua a seguire con attenzione l’evolversi della situazione sul terreno e ha già espresso pubblicamente preoccupazione nonché l’invito a cessare immediatamente le ostilità assieme a Stati Uniti, Francia e Regno Unito”, spiega il governo italiano, smentendo di fatto le dichiarazioni con cui il ministro dell’Interno in mattinata accusava i francesi – Palazzo Chigi dice che Parigi e Roma stanno lavorando insieme per bloccare gli scontri.
I presupposti comunque non mancano: gli incursori italiani dei Comsubin conoscono perfettamente il terreno, hanno già aiutato (insieme a Gis e Col Moschin) l’insediamento del premier designato nella base navale di Abu Setta e protetto, dopo la caduta del rais Gheddfi, il rientro dei tecnici Eni in Libia. L’intelligence italiana ha contatti continui – fatti anche di visite settimanali discrete – con gli interlocutori libici. La missione, più che spirito combat, dovrebbe servire da deterrente per fermare le ambizioni di al Kani.
Durante gli scontri, che Serraj ha definito ” un tentativo di minare il processo di transizione politica pacifica [che] rappresenta un aborto spontaneo degli sforzi locali e internazionali di raggiungere la stabilità nel paese” dichiarando lo stato di emergenza, un razzo ha centrato il quarto piano del Al-Waddan Hotel, che si trova a Dahra, un centinaio di metri dalla sede dell’ambasciata italiana.
La missione dell’Onu in Libia, Unsmil, in una nota ha invitato “le varie parti interessate dal conflitto a un incontro allargato per martedì a mezzogiorno in un luogo che verrà annunciato in seguito”: la missione onusiano guidata dal libanese Ghassan Salamé screive che “sulla base delle pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza e dell’offerta del Segretario generale delle Nazioni Unite di mediare tra le varie parti libiche” si invita a “tenere un dialogo urgente sull’attuale situazione della sicurezza a Tripoli”.