Gli scontri a Tripoli non si fermano, e mettono in seria difficoltà il designato premier onusiano, Fayez al-Serraj, che subisce il caos interno alla capitale da cui, secondo un piano delle Nazioni Unite vecchio di tre anni, dovrebbe lanciare rappacificazione e riunione nel paese nordafricano.
Per fare il punto sulla situazione, capire come può ledere gli interessi dell’Italia e valutare i possibili scenari, anche con ricaduta internazionale, Formiche.net ha raccolto l’opinione di Manlio Di Stefano, sottosegretario al ministero degli Esteri, in questi giorni impegnato in prima persona per riunioni e contatti finalizzati alla gestione della crisi.
Che cosa sta succedendo in Libia e quanto è grave la situazione?
La situazione in Libia è frutto dei soliti giochi di potere internazionali che, dal 2011 in avanti, hanno causato una delle più grandi crisi che la regione abbia mai vissuto. È tempo di seppellire l’ascia e mettersi tutti insieme, Francia in primis, al tavolo per risolvere la questione.
A quanto pare, il designato premier del Gna, il governo di accordo nazionale onusiano, sta perdendo contatto con Tripoli, circostanza che sembra indebolirlo ulteriormente. In un post Facebook del 10 gennaio 2017, quando ancora il Movimento 5 Stelle non era al governo, lei, criticando il sostegno offerto dall’allora governo Gentiloni, definiva al-Serraj “un fantasma”: alla luce anche degli ultimi fatti, qual è la posizione del cavallo su cui l’Italia ha scommesso da subito, confermando la linea anche con l’attuale governo?
Il nostro governo, per un senso di responsabilità e nel tentativo di tenere compatta l’Unione Europea sul capitolo Libia ha cercato fin da principio di seguire la via dell’Onu di sostegno ad al-Serraj, anche se con la consapevolezza che la strada dell’unità nazionale andasse cercata in un’apertura al dialogo con tutti gli attori coinvolti nella crisi.
Oggi è tempo di fare “un passo avanti su questa strada”, dice il sottosegretario, che sostiene la linea italiana: insistere sulla Conferenza di Pace internazionale programmata per novembre, a Sciacca, alla presenza di al-Serraj, del suo principale oppositore, Khalifa Haftar, e di “tutte le entità che comandano sul territorio”.
A proposito dell’autoproclamato maresciallo di campo Haftar, che secondo alcune ricostruzioni potrebbe anche essere collegabile in via indiretta agli scontri di questi giorni a Tripoli: che possibilità ci sono di dialogare con il rais della Cirenaica in questo momento? È un attore potabile, un interlocutore?
Le istituzioni politiche internazionali e i governi dovrebbero parlare sempre al loro livello evitando di dare sponda a chi usa le armi come mezzo di dialogo. È altrettanto vero però che senza interloquire con Haftar (e quindi con Russia, Egitto e Francia) non c’è possibilità alcuna di stabilizzare l’intera Libia. Insomma, serve realismo!.
Parlando di Haftar, non si può non tirare in ballo la Francia, che ha fornito supporto pseudo-clandestino alle sue iniziative anti-terrorismo: Parigi sulla Libia persegue una linea che viene descritta come in concorrenza con Roma, ma quanto c’è di vero?
È noto che la Francia abbia da sempre perseguito interessi contrastanti a quelli italiani in Libia, come è altrettanto noto che, per difendere i suoi interessi in tutto il Sahel, abbia bombardato la Libia nel 2011.
Che posizione hanno i francesi su quella riunione multilaterale di Sciacca? La riuscita non dipenderà anche dal loro fair play sull’iniziativa italiana? E quanto la “cabina di regia” sulla Libia che l’amministrazione Trump ha conferito al presidente Conte durante la visita alla Casa Bianca può aiutarci?
Il nostro governo vorrebbe andare oltre, preservare la pace e prendere ciò che di buono ci è stato offerto in termini di disponibilità sia dalla Francia che dagli Stati Uniti. Spero che in quest’ottica anche il Presidente Macron comprenda che c’è in gioco la credibilità dell’Unione Europea e la vita dei libici e anteponga ciò agli interessi economici francesi.
Ieri, sulla Stampa, Giuseppe Cucchi (generale, ex direttore dei servizi segreti e attualmente alla guida dell’Osservatorio scenari strategici e di sicurezza del centro ricerche Nomisma di Bologna) ha scritto che Roma sembra timida nel trattare il dossier davanti alla Francia, e forse questo è anche conseguenza “dell’accesso al potere di forze nuove i cui rappresentanti non hanno ancora sufficiente esperienza internazionale” e secondo l’analisi la frammentazione con cui Roma si approccia ai libici, diversa dal governo precedente in cui il dossier era curato in via esclusiva dal ministro Minniti, può essere vista come debolezza. È così? Paghiamo anche errori passati, come non essere stati in grado di ottenere un delegato Onu per la crisi italiano?
Tutt’altro. Il governo Conte sta dimostrando grande presenza, esperienza e capacità internazionale. L’azione diversificata da parte di tutti i ministri sta giocando a nostro favore dando anche trasparenza alle operazioni, cosa che non avveniva affatto con la gestione Minniti. Paghiamo, semmai, il ritardo che il Governo Renzi ci ha consegnato nel puntare alla stabilizzazione della Libia con un approccio olistico, come invece andava fatto sin da principio.