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Popolari e populisti. La ricetta di Manfred Weber che unisce Fi e Lega (Foa c’entra)

“La campagna elettorale di Sebastian Kurz è il punto di riferimento per la nostra”, con queste parole Manfred Weber chiarisce il suo pensiero due mesi fa a Monaco, nel corso di una importante conferenza del Ppe.

Il giovane primo ministro austriaco è presente in sala, ma il riconoscimento che gli viene tributato non è puro atto di cortesia, bensì il manifesto politico dell’uomo politico tedesco che da oggi è ufficialmente candidato alla guida dell’Ue per contro dei popolari europei.

La discesa in campo di Weber è rilevante da diversi punti di vista, alcuni dei quali toccano da vicino le vicende italiane.

Dobbiamo però andare con ordine per capire davvero quello che è successo, iniziando dalla parte tedesca di questa storia, particolarmente importante perché riguarda da vicino il più potente e longevo leader politico del continente, cioè Angela Merkel. Ebbene va detto subito che la cancelliera ha dovuto cambiare il suo piano originale dopo il duro scontro con il suo ministro dell’Interno e capo del partito alleato Csu Horst Seehofer (anche Weber è bavarese e dirigente del Csu).

Weber quindi è innanzitutto figlio di una mediazione tra Merkel ed il suo potente alleato, che ha duramente criticato la linea di Berlino in tema d’immigrazione.
Ma l’aspetto “domestico” non basta per spiegare il senso di questa candidatura.

Essa infatti è di ben più ampio respiro, poiché rappresenta una rilevantissima evoluzione in casa Ppe che ora cerchiamo di descrivere. Weber è giovane (46 anni), di forte impronta pragmatica (è laureato in ingegneria) e di solida vocazione europea, come ha dimostrato in questi anni da capogruppo popolare al Parlamento di Bruxelles.
Però è anche un cattolico conservatore senza margini di dubbio, perfettamente a suo agio con primi ministri come Orbán e Kurz, che invece sono bestie nere per l’élite progressista e socialdemocratica del continente.

Insomma Weber incarna perfettamente la scelta strategica del Ppe di guardare a destra con decisione, cercando così di arginare l’ondata populista e sovranista che avrà effetti micidiali nel voto di giugno del prossimo anno.

Naturalmente questa impostazione segna anche una sostanziale sconfessione della linea Merkel, ma la stessa cancelliera, sulla cui abilità di manovra nessuno può sollevare dubbi, ha fatto rapidamente buon viso a cattiva sorte e oggi Weber è “anche” il suo candidato.

Il Ppe quindi non solo prova a correggere la sua linea, rendendo più facile la vita alla sua “ala destra”, ma si prepara al grande accordo che sarà necessario dopo le elezioni.
Grande accordo che sarà cercato con ogni mezzo guardando a destra, cioè a quei movimenti politici sovranisti che stanno fuori dal rassemblement popolare ma che certamente vorranno contare negli equilibri post elettorali. E qui si arriva alle vicende italiane.

Weber è buon amico di Antonio Tajani e più in generale di quel mondo moderato che ha avuto in Forza Italia e e nell’Udc (versione Cesa) la sua traduzione politica.
Ma è anche assai ben disposto verso Salvini, poiché quella è la chiave per aprire la porta dell’ufficio oggi occupato dal fallimentare Juncker: un accordo tra Ppe e sovranisti.
Ecco allora diventare d’attualità anche internazionale la vicenda italiana.

Il governo gialloverde non è in pericolo a breve, Salvini non intende staccare la spina. Ma di certo la prospettiva strategica è altra, come vedremo plasticamente nel corso del prossimo anno.

E come vedremo, a mo’ di assaggio, nei prossimi giorni, quando Marcello Foa diventerà presidente della Rai con il voto di FI, voto che a luglio è stato negato ma che presto tornerà disponibile in nome delle future battaglie comuni.



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