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Caro governo, come coniugare maggiori investimenti con il deficit al 2%? L’opinione di Piga

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Piano piano, un passo alla volta, il ministro dell’Economia Giovanni Tria comincia a tracciare i contorni della manovra d’autunno. Il messaggio lanciato oggi dal resposnsabile del Tesoro davanti alla platea di Confartigianato è chiaro: Lega e 5 Stelle possono essere accontentati, ma un po’ alla volta, legge di Bilancio dopo legge di Bilancio.

Quest’anno si potranno gettare le basi di qualcosa che prenderà corpo e forma solo a partire dalle manovre 2020 e 2021. Troppo corta la coperta e ancora troppo sensibile la colonnina dello spread, sceso sì a 230 punti base, ma pronto a risalire alla prima uscita un po’ colorata. Manovra a parte, per Tria è arrivato anche un fuoriprogramma sul Tap e sulla Tav, con il ministro che si è concesso un endorsment sulle due infrastrutture che dividono 5 Stelle e Lega, schierandosi apertamente in favore.

Tornando alla manovra, “fare di tutto un poco” è per ammissione dello stesso Tria la filosofia alla base della prossima ex Finanziaria (qui l’intervista di ieri all’economista Marcello Messori). E dunque, nella sostanza, cercare di dare qualcosa a Matteo Salvini e qualcos’altro a Luigi Di Maio. In mezzo, riuscire a salvaguardare quel rapporto con l’Ue al momento non in discussione, che sta per entrare nella sua fase più delicata. Tria sembra essere riuscito nell’intento, fornendo alle due anime dell’esecutivo due importanti assist. Da una parte quel taglio delle tasse da sempre invocato dal Carroccio, dall’altro un primo embrione del reddito di cittadinanza, sponda 5 Stelle. Ma su entrambi i fronti una grande, grandissima cautela.

“Sono molto favorevole a partire con una riduzione del numero delle aliquote Irpef per i redditi familiari ma bisogna vedere le compatibilità di bilancio. Senza dubbio è un’operazione che va fatta in modo equilibrato, coerente e graduale”, ha chiarito il ministro. La stessa prudenza, anche sulla flat tax, misura che Salvini (il quale ha incontrato questa mattina il suo staff di economisti per un secondo round sulla manovra, dopo un primo vertice la settimana scorsa), vorrebbe a tutti i costi il più strutturata possibile, già nell’ex Finanzaria. “La flat fax  va finanziata con le tax expenditures (le agevolazioni fiscali, ndr) ma è un processo complesso e richiede tempo”, ha detto Tria.

Stesso discorso per Di Maio. Anche qui il garante dei conti pubblici ha fatto trapelare buone intenzioni condite però da una sana dose di realismo. Della serie aiuta “il reddito di cittadinanza aiuta la crescita se disegnato bene” e non distrugge i conti pubblici. “Il problema è come lo si disegna, il problema di fondo deve essere affrontato, ci sono molte questioni, l’importante è declinarle in modo coerente”.

Formiche.net ha chiesto il parere dell’economista Gustavo Piga. “Non voglio entrare in dinamiche politiche, ragioniamo da economisti. Tanto per cominciare quando parliamo di Tria, parliamo di Europa perché il ministro oggi rappresenta l’Ue dinnanzi a Salvini e Di Maio. Quindi ci sono tre attori in campo, Tria alias Europa e i due leader dei partiti di governo. Detto questo la prudenza di Tria va commisurata alla grandezza del bottino da portare a casa, inteso come flat tax, reddito di cittadinanza e le altre misure del contratto, che può essere grande o piccolo. Se sarà grande allora ci sarà una spartizione a tre del bottino, ma se invece sarà piccolo allora vuol dire che nessuno ci guadagnerà”.

Piga entra nel merito del ragionamento e ostenta una certa sicurezza nell’ammettere che “il bottino, semplicemente, non ci sarà perchè nel prossimo Def il deficit per il 2019 si fermerà al 2% del pil e questo significa che non si potrà portare a casa nessuna delle misure citate. Se mai ci sarà un bottino si tratterà del mancato aumento dell’Iva, una magra, magrissima consolazione per l’Italia, che invece ha bisogno di crescita. Voglio essere chiaro, chiunque parli di flat tax e reddito di cittadinanza con un deficit al 2% racconte cosa non vere. L’unico modo per attuare le promesse elettorali è portare il deficit al 3%, in quel modo si liberebbero 15-venti miliardi da spendere e spartirsi tra flat tax, pensioni e reddito di cittadinanza. Ma non succederà perché da settimane si parla di un rapporto deficit-pil all’1,6%, quindi al massimo arriveranno al 2%”, spiega l’economista.

Che fa anche un’altra considerazione. “Ammettiamo per un attimo che si porti il deficit al 3%. Bisognerà dare qualcosa in cambio. Una crescita che non c’è? O magari una spending review, mai fatta veramente? Non si può dire all’Europa, che certo vive un momento difficilissimo che fa di questo momento il migliore per attaccarla, ‘spendo di più perché alzo il deficit e poi sono incapace di tagliare la mia spesa’. Non è possibile. Anche per questo dico che il deficit rimarrà al 2% e nessuno porterà a casa nulla, Salvini e Di Maio compresi”.

Volendo ancora per una attimo pensare a un deficit al 3%, secondo Piga non si sarebbero dubbi su come utilizzare i miliardi frutto dello sforamento. “Gli investimenti, sono l’unica cosa che conta. Possibile che a un mese da Genova ancora non lo si sia capito fino in fondo. E non parlo solo di strade o ponti, ma di scuole, carceri e riqualificazione antisismica. Sarebbe tutto vero ossigeno per l’economia. Certo poi ci sono anche grandi opere, come il Tap e la Tav, sono favorevolissimo, ci sono però molti altri investimenti minori da portare avanti. Ma come ho detto, spero di sbagliarmi certo, sarà difficile vedere tutto questo. Non ci sarà nessun bottino con un deficit al 2%, perché quello è il tetto al quale il governo si fermerà”.

 

 


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