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Corea del Nord, tra denuclearizzazione e rapporto (stretto) con la Cina

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La questione della denuclearizzazione della intera penisola coreana è, ormai, al centro del dibattito tra Corea del Nord, quella del Sud, gli Usa, la Cina e la Federazione Russa. Ciò lo abbiamo visto, simbolicamente ma in modo molto chiaro, nella recentissima parata militare di Pyongyang per il 70° anniversario della fondazione della Repubblica del Nord: non c’è stata, infatti, la tradizionale e tuttavia forte sottolineatura dell’apparato nucleare e missilistico nordcoreano, ma piuttosto una bilanciata rappresentanza delle forze armate e delle varie componenti sociali, alle quali il sistema socialista del Nord affida la sua egemonia nella Repubblica Democratica Popolare della Corea. Che è una egemonia vera, non una costrizione.

Chi voglia destabilizzare Pyongyang con le solite chiacchiere sul liberalismo si troverebbe in gravi difficoltà. Si pensi, poi, alla simbologia della rappresentanza dei quadri e delle figure di rilievo del regime intorno a Kim Jong-Un, sul palco. Anche qui, erano moltissimi quelli che hanno partecipato a molte, moltissime, manifestazioni, mentre i nuovi arrivati, molto pochi, si confondevano nell’insieme dei consueti collaboratori di Kim Jong-Un. Segno evidente che il Leader ha il pieno e totale controllo, nella fase più delicata delle trattative con il Sud e gli Usa, sul suo apparato di potere. Chi volesse, quindi, come qualcuno ha detto all’interno degli apparati di sicurezza Usa, destabilizzare la Corea del Nord con una congiura di Palazzo “liberale” non avrebbe certo fortuna.

Un ruolo particolare, simbolico e quindi pienamente politico, lo hanno avuto, nella parata del 70° anniversario, le Forze Speciali. Le Special Forces più vaste e numerose del mondo, peraltro. Le “tigri di Kim” hanno avuto una missione particolare, quella di controllare strettamente le postazioni Usa e della Corea del Sud nella parte meridionale della penisola; esse sono poi composte da circa 180.000 elementi, una cifra rilevantissima, lo dicevamo sopra, per un Paese piccolo come quello che ha per capitale Pyongyang.

Hanno peraltro una divisa molto simile a quella del 707simo Battaglione per le Operazioni Speciali di Seoul, creato subito dopo il massacro degli atleti israeliani alle olimpiadi di Monaco; ma operano, i nordcoreani, sia nel Riconoscimento, con una specifica brigata, sia in ambito marittimo, poi operano come reparti di artiglieria leggera nelle retrovie e sono tutti addestrati, come è facile immaginare, per svolgere le funzioni delle forze aviotrasportate. Hanno compiuto operazioni leggendarie, le “tigri di Kim” come nel 1968 nella Corea del Sud, con il tentativo di assassinare, da parte della 124° Unità dell’Esercito di Pyongyang, il dittatore sudcoreano Park Chung-Hee. E le Forze Speciali di Kim Jong-Un sono presenti anche nella Repubblica Araba Siriana di Bashar el Assad, per aggiornare le difese missilistiche.

Ciò accade soprattutto in relazione al rifiuto, opposto dai russi, di armare le forze di Damasco con missili a media e lunga gittata. Ma le forze di Kim Jong-Un in Siria stanno svolgendo varie missioni, tali da renderle, oggi, con ogni probabilità, la migliore forza asiatica nel settore dell’antiterrorismo. Sul piano sanitario, Assad ha talvolta ringraziato ufficialmente la Corea del Nord per il sostegno apportato in questo settore al Paese mediorientale, mentre vi sono ancora truppe di artiglieria della Corea del Nord attive sul terreno siriano. Peraltro, le statistiche occidentali ci indicano che il totale del personale militare della Corea del Nord è oggi di 6.445.000 elementi, con una quota di militari attivi di 945.000 tra soldati e ufficiali e ben 5,500.000 elementi della riserva. Un Paese in armi, quindi, di quasi impossibile conquista da parte di chiunque provenga da fuori.

Sempre con le cifre raccolte dai Servizi dei Paesi occidentali, sappiamo che Pyongyang dovrebbe possedere 994 aerei militari di vario tipo, con 458 velivoli da combattimento e da superiorità aerea e 516 da attacco, con altri ulteriori 119 aerei da trasporto, 169 da addestramento, 202 elicotteri, di cui 20 da attacco. Per le Forze di terra, sono oggi a disposizione del regime di Pyongyang 5243 carri armati, 9935 veicoli armati e corazzati, gli elementi di artiglieria sono poi 2250, mentre le postazioni di artiglieria pesante sono oggi ancora 4300, con ben 5000 lanciatori di missili di varia gittata e potenza. Le navi della marina militare della Corea del Nord sono 967, con sole 10 fregate, 2 corvette, ma comunque 86 sommergibili, 438 navi da pattugliamento e 25 cacciamine. Il resto è ignoto ai Servizi occidentali. Ma, alla parata del 70°, erano presenti anche vari gruppi di civili, i tanti ritratti di Kim Il Sung, definito come “fondatore del chosun socialista” (il chosun è la stessa Corea, intesa come Patria) mentre vi sono stati numerosi cartelloni che inneggiavano al chosun juche, ovvero all’autosostentamento della Nazione coreana del Nord proprio attraverso il concetto di, appunto, juche: secondo Kim Il Sung, lo juche significa che “l’uomo è il padrone di tutto perché è padrone del mondo e della storia”.

Ovvero, qui si teorizza l’autodeterminazione piena della Corea di Pyongyang, senza alcun affidamento di sovranità o di sostegno economico a potenze “terze”, nemmeno se esse appartengano al “campo socialista”. Da qui la divisione ufficiale del popolo, sia pure reso omogeneo e unificato dall’ideologia socialista, della Corea del Nord in contadini, lavoratori delle industrie e samuwon, quelli che in Occidente chiameremmo “intellettuali”, tre categorie egualmente necessarie per lo sviluppo delle società. Si ricordi che, peraltro, in nessuna teoria comunista derivata dalla Terza Internazionale vi è un ruolo sociale specifico per i lavoratori della mente, gli “intellettuali”.

Una notevole parte della Parata del 70° è stata inoltre dedicata ad un altro pilastro dell’ideologia nordcoreana, l’unità profonda tra civili e militari. “Socialismo, una sola grande famiglia”, un altro degli slogan tipici della Parata del 70°. Nella simbologia tradizionale di Pyongyang, in questo contesto della “grande famiglia” il Leader è il Padre, il Partito è la Madre, i cittadini sono i figli. Che è questo poi, al di là del simbolismo familista, il punto simbolico di avvio della trasformazione parallela dell’economia e del sistema militare nordcoreano. E la presenza massiccia delle Forze Speciali è, lo ripetiamo, un segno da non trascurare affatto. Riferimenti alla storia degli anni ’50 e a quelli dell’inizio del regime di Pyongyang, che sono stati molto presenti nella Parata del 70°; ma anche riferimenti mitici ai cavalli Chollima e Mallima.

Il primo è un cavallo alato, simbolo comune a tutte le mitologie asiatiche (e a quelle della Grecia in comunicazione con l’Asia centrale) ma qui significa evidentemente la necessaria rapidità dello sviluppo economico della Corea del Nord, che sarà il vero prossimo obiettivo di Kim Jong-Un. Mallima è un altro cavallo alato della tradizione cinese e giapponese. Un altro, evidentissimo, simbolo. Qui la citazione iconografica ripete una specifica osservazione che Kim Jong-Un ha fatto nel suo recente discorso di capodanno, il 5 gennaio scorso. Il riferimento era infatti alla totale modernizzazione dell’economia nazionale e alla completa meccanizzazione dell’agricoltura, citando proprio i due cavalli alati come simboli della rapidità con la quale la Corea del Nord intraprende oggi il suo cammino di completa modernizzazione, sia civile che militare. Tra i carri simbolici della parata del 70° vi erano anche delle sagome di navi che portavano sulle fiancate la scritta “una solida fondazione per costruire il potere economico” e “per un sistema flessibile della manifattura”.

Cosa significa tutto ciò? Che Kim Jong-Un vuole innescare uno sviluppo autopropulso della Corea del Nord per equilibrare la potenza militare con quella economica. Il suo progetto iniziale, che oggi si declina con lo slogan “prima di tutto l’economia”. Il che non vuol dire che Pyongyang abbandona le sue reti militari, ma che le rende utili per una trattativa che spinga direttamente la Corea del Nord verso il Terzo Millennio. Sempre sul piano simbolico, che sempre è uno degli aspetti essenziali della politica, non lasciamoci infatti illudere dal mito economicista che copre gran parte della cultura politica occidentale, bisogna osservare come l’ospite più gradito, la figura centrale del rapporto tra la Corea del Nord e il mondo esterno, è stato, durante tutta la Parata del 70°, l’inviato Li Zhanshu, delegato del Presidente cinese Xi Jinping.

Li è il presidente dello Standing Committee del Congresso Nazionale del Popolo, l’organo legislativo della Repubblica Popolare Cinese. Già governatore dell’Heilongjiang, regione ai vertici dell’innovazione economica cinese e del rapporto fattivo con le imprese straniere, Li Zhanshu è poi diventato, nel recente 18° Congresso, uno dei più fidati e ascoltati consiglieri di Xi Jinping, essendo peraltro già a capo dell’Ufficio Generale del Partito Comunista della Cina. E’ anche membro, a pieno titolo, del 18° Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese.

Una figura quindi di notevole rilievo, con fortissimi e personali legami con Xi Jinping, che è stato scelto per rappresentare non solo la Cina, ma la forza durevole dei rapporti che legano, ancora oggi, Pechino e Pyongyang. Li e Kim Jong-Un hanno salutato spesso la folla insieme, con le mani unite. Uno dei punti da osservare, in questa nuova configurazione del sistema politico nordcoreano, è la recente dottrina nucleare di Kim Jong-Un. Il Leader di Pyongyang ha detto che occorre che il Nord e il Sud della Corea, al fine di evitare l’orrore della guerra nucleare, dovrebbero rafforzare i loro tentativi per raggiungere una penisola coreana libera da ogni tipo di arma nucleare.

Precedentemente, Kim Jong-Un aveva detto, nel luglio 2017, che la Corea del Nord non avrebbe mai ritirato il proprio armamento nucleare se gli Usa non avessero nettamente cessato la loro politica ostile e la loro minaccia nucleare indirizzata verso Pyongyang. Il cambiamento di tono è evidentissimo. Ed è in linea con la dichiarazione comune tra Corea del Nord e Usa della Conferenza di Panmunjom del 27 aprile 2018, quando la stessa Corea settentrionale ha accettato di “lavorare per la completa denuclearizzazione della penisola coreana”. Nella dichiarazione di Singapore del giugno 2018, peraltro, Pyongyang non si era data un obiettivo temporale, ma aveva accettato un processo, quello appunto della denuclearizzazione completa della penisola.

Con le sue ultime affermazioni, Kim Jong-Un vuole, infine, accettare la linea degli Usa, la denuclearizzazione completa della penisola coreana, ma, in ogni caso, alle sue condizioni e, soprattutto, ai suoi tempi. Ovvero, per la Corea del Nord la denuclearizzazione si attua in una trattativa nella quale sia le strutture di Pyongyang che quelle nel sud vengono sistematicamente smantellate, nello stesso tempo e nello stesso modo. Per quanto riguarda le relazioni internazionali della Corea del Nord, visto il rapporto ottimale ricostruitosi tra la Cina e Pyongyang con la visita di Kim Jong-Un del 25-28 marzo scorsi; la soluzione, per gli Usa, sarà quella di mettersi prima d’accordo con Pechino, Mosca e, poi, con le altre capitali asiatiche amiche, come Tokyo, Seoul e perfino Hanoi. Se Washington farà da sola, non farà nulla.

Ma c’è un ulteriore, importante questione. Ovvero, la futura partecipazione della Corea del Nord alla Belt and Road Initiative cinese. Pyongyang non ha i capitali interni, anche dopo una forte riduzione del sistema militare e nucleare, cosa che, comunque, non farà. E farà bene a non farla. Non ha nemmeno a disposizione i Foreign Direct Investments che potrebbero essere utilizzati per entrare, autonomamente, nel mercato-mondo che l’aspetta. E, ancora, la Corea settentrionale ha però riserve minerarie che valgono almeno 6 trilioni di dollari, tra ferro, oro, zinco, rame, molibdeno e grafite. E anche molte terre rare.

Ma, oltre la rete della “Belt and Road”, vi è anche la Eurasia Initiative messa in piedi dalla Corea del Sud nell’ottobre 2013 e che integra la Corea del Sud nello spazio economico eurasiatico, via Russia, e permette anche una collaborazione sulla sicurezza che inserisce in questo quadro anche la Corea del Nord. Tramite la Iniziativa Eurasiatica, comunque, potrebbero venire integrate economicamente la Corea del Sud, quella del Nord e le province del Nord-Est cinese, notoriamente ancora poco sviluppate economicamente.

Ci sono anche le grandi infrastrutture da mettere in ponte: la ferrovia verso l’Ovest, la Pusan-Seoul-Shinuju-Dandong e quindi la rete primaria dell’Est, la Pusan-Wonsan-Chongjin-Tumangang-Khasan, che sono linee le quali connettono le due Coree tra di loro e, entrambe, con la Cina e la Federazione Russa e, da lì, verso la penisola europea. La formula produttiva sarebbe quindi: lavoro a basso prezzo nordcoreano, capitali cinesi e tecnologia sudcoreana. Il porto di Rason metterebbe in contatto entrambe le Coree con il Giappone, il che favorirebbe anche l’economia regionale del nord-est cinese, con l’ulteriore espansione delle reti energetiche russe in tutta questa nuova area.

E tutto questo riguarda quindi la denuclearizzazione, parallela e rapida, della rete Usa in Corea del Sud e di quella presente nella Corea del Nord. Senza l’accordo tra Cina, Russia, Usa e Giappone la nuova rete economica rimarrebbe senza significato e utilità. E qui il gioco è ancora in mano agli Stati Uniti. Una operazione, quella della denuclearizzazione, da compiere con l’assoluta garanzia per tutte le parti, con il sostegno della IAEA ma anche, e soprattutto, dei Paesi vicini. Sarebbe utile, infatti, una Commissione paritaria tra Usa, Corea del Nord, quella del Sud, Russia e Cina per verificare e accelerare il meccanismo della denuclearizzazione di tutta la penisola coreana.

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