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Cosa accade se la crisi del Golfo incontra il pantano della Libia

Di Antonino Occhiuto
Tripoli

La notizia che l’ambasciatore italiano in Libia, Giuseppe Perrone, rientrerà da Tripoli a Roma potrebbe non avere esclusivamente a che fare con i motivi di sicurezza paventati dal ministero degli Esteri. La mossa di Roma infatti sembra rientrare piuttosto nell’ambito degli sforzi mirati a riallacciare i rapporti con il generale Khalifa Haftar, leader delle forze armate fedeli al Governo di Tobruk, (Lna).

FUGA DA TRIPOLI

La necessità di migliorare i rapporti con Haftar, dopo in periodo in cui l’Italia supportava fermamente la fazione opposta, ovvero il governo di accordo nazionale (Gna), basato a Tripoli e guidato da Fayez Al-Sarraj, si lega a una doppia necessità. La più evidente è quella di assicurare la presenza di Haftar alla conferenza che l’Italia intende organizzare sulla Libia di novembre. Il mancato successo della conferenza in Italia potrebbe consegnare alla Francia di Emmanuel Macron la leadership esclusiva sul dossier libico, dossier che il nuovo governo Italiano ritiene fondamentale per questioni di sicurezza energetica e per contrastare l’immigrazione.

La seconda è legata al progressivo mutamento dei rapporti di forza tra i due governi libici che costringe Roma a dover sviluppare maggiormente che in passato le proprie relazioni con Tobruk. In Cirenaica Haftar ha eliminato le milizie che gli si opponevano e può contare sul granitico supporto di Emirati Arabi Uniti, Egitto. Gli ultimi scontri a Tripoli evidenziano invece come Al-Sarraj abbia sempre più difficoltà a controllare le milizie affiliate con il Gna. Come se non bastasse, i principali alleati di Tripoli, come il Qatar, hanno da qualche tempo smesso di fornire il supporto iniziale. Già appena asceso al trono il giovane emiro di Doha Tamim Al Thani avrà mostrato meno interesse del padre nell’avventurismo geopolitico. A partire dalla crisi del Golfo poi, iniziata nel Giugno 2017, Doha ha dovuto concentrare gran parte delle proprie risorse finanziarie, suo principale strumento di politica estera, per garantire stabilità interna e fronteggiare l’offensiva diplomatica di Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Bahrain ed Egitto.

ABU DHABI SALE DOHA SCENDE

Lo strappo sull’asse Abu Dhabi-Doha si era già manifestato in Libia all’indomani della rivoluzione del 2011, quando Doha ed Abu Dhabi hanno iniziato a sostenere, rispettivamente, gruppi di Tripolitania e Cirenaica. La politica estera Emiratina in Libia ha avuto un nuovo slancio nel 2014 e 2016, quando Abu Dhabi ha iniziato a fornire supprto militare ad Haftar e all’Lna impegnate nell’ offensiva contro ogni milizia anche lontanamente affiliata alla Fratellanza Musulmana in Libia. A fronte del continuo impegno degli Uae in Nord Africa, in particolare in Libia e nel vicino Egitto, l’interventismo di Doha negli affari interni libici non reggeva il confronto.

EMIRI CONTRO

L’opposizione di Abu Dhabi al rafforzamento della Fratellanza Musulmana in Libia è un elemento importato direttamente da dinamiche interne alla regione del Golfo. Gli Uae vedono l’affermarsi dell’ Islam politico come una minaccia esistenziale per la legittimità e la sicurezza della famiglia regnante e per la stabilità dei paesi alleati nella regione. Tale visione è perfettamente incarnata dall’attuale principe della Corona di Abu Dhabi, Mohammed bin Zayed Al-Nahyan. Doha, sotto la leadership di Hamad bin Khalifa Al-Thani , ha invece scelto di patrocinare la Fratellanza e i gruppi ad essa affiliati che promuovono un cambiamento radicale nella speranza di incrementare il peso internazionale del Qatar. Non è da escludere il fatto che in Libia vi siano in gioco anche interessi economici rilevanti per i paesi del Golfo.

Un certo grado di controllo su un futuro governo libico unitario permetterebbe sia a Doha che ad Abu Dhabi di garantirsi un accesso senza precedenti ai porti Mediterranei situati di fronte alle coste Europee. I terminali petroliferi di Tripolitania e Cirenaica rappresentano sicuramente la preda economicamente più ambita della Libia. La rivalità tra Abu Dhabi e Doha ha avuto il suo peso anche nel provocare la battaglia tra le milizie islamiste e l’Lna per il controllo di tali terminal. La vittoria dell’Lna ha permesso ad Haftar di consegnare il controllo dei porti petroliferi al governo di Tobruk, mentre precedentemente ricadevano sotto la giurisdizione del Gna. Inoltre, secondo il Wall Street Journal, Tobruk starebbe cercando l’appoggio di Abu Dhabi per vendere le sue nuove risorse petrolifere fuori dai canali autorizzati dall’Onu.

Nel prossimo futuro gli interventi degli Uae in Libia non sembrano destinati a diminuire in quantità e consistenza. Pertanto, qualsiasi paese Europeo si trovi nella posizione di mediare per porre fine al conflitto in Libia dovrà necessariamente tenere conto delle aspirazioni di Abu Dhabi in Nord Africa. D’altro canto il Qatar, a causa delle difficoltà economiche relative alla crisi del Golfo, dovrà sicuramente scegliere con maggiore oculatezza i propri interventi di politica estera ed è lecito aspettarsi sempre meno appoggio da parte di Doha a beneficio di gruppi islamisti nel grande calderone libico.


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