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Verso la manovra, due certezze e un dubbio. Al Mef l’ultima parola

Serrare le fila in vista del Def, da approvare entro il 27 settembre ed embrione di quella manovra che più carica di aspettative di così non poteva essere. Un po’ questo il senso del vertice mattutino (ore 9) in scena questa mattina a Palazzo Chigi tra il premier Giuseppe Conte, il ministro dell’Economia, Giovanni Tria e il vicepremier Matteo Salvini (Luigi Di Maio assente perché ancora in Cina).

Tradotto, basta con spot e colpi di testa, è tempo di mettersi gomito a gomito per scrivere un Documento di economia e finanza il più omogeneo possibile. Certo, sullo sfondo rimane sempre la partita più importante, quel rapporto deficit/Pil che dà la cifra di quello che è possibile fare e quello che invece proprio non si può fare. Ed è lì che si concentrerà lo sforzo di questi ultimi giorni di Tria, fin troppo conscio del fatto che l’asticella non può certo alzarsi troppo, o i mercati la faranno pagare cara.

A fare due conti, ci sono più certezze che incertezze ad oggi. Più o meno un rapporto 2 a 1. Partiamo dalle prime. L’Iva non aumenterà. E non perché lo abbia detto Salvini nel commentare l’esito del vertice ma perché è poco pensabile che un Paese che nel 2019 crescerà dell’1,2% possa affossare i consumi, ora che sono timidamente ripartiti. Dunque, più che un orientamento dell’esecutivo, si tratta di una scelta semi-obbligata. Anche perché, come fatto intendere pochi giorni fa dallo stesso Tria, quei miliardi sarebbero già stati individuati in precisi capitoli di spesa. Dunque, partita chiusa o quasi.

L’altra certezza l’ha data Di Maio dalla radio e riguarda il reddito di cittadinanza. E cioè che il reddito di cittadinanza si farà, in quale misura non è chiaro, ma andrà a beneficio dei soli cittadini italiani. Proprio ieri il titolare del Tesoro aveva ricordato in Senato come la proposta originaria estendesse la platea anche ai migranti in regola da due anni. Ma non sarà così.

“Abbiamo corretto la proposta di legge. Singolare che torni in auge una proposta di legge che non prevedeva ancora la platea ma è chiaro che è impossibile, con i flussi immigratori irregolari, non restringere la platea e assegnare il reddito di cittadinanza ai cittadini italiani”. Una precisazione che, almeno da un punto di vista emotivo (e di questi tempi non è poca cosa) ha fatto la felicità di Salvini che ha accolto il chiarimento di Di Maio “con grande piacere”.  Di sicuro sul reddito di cittadinanza c’è ancora da lavorare. Fonti molto qualificate consultate da Formiche.net, parlano di riunioni fiume con lo staff tecnico del Movimento, per tutta la giornata di oggi e forse anche per quella di domani.

Proprio ieri, in un’intervista a Formiche.net, il consigliere di Di Maio, Pasquale Tridico aveva sottolineato come il reddito di cittadinanza sia “doveroso inserirlo in manovra. E tanto per essere chiari i soldi si trovano. Il Movimento Cinque Stelle chiede dieci miliardi? Beh, è il minimo. Le risorse si fanno saltare fuori, ci sono delle maglie da allargare, sulle banche, sulle assicurazioni e sulle accise sui carburanti. Il costo della misura è sempre stato quello, 10-17 miliardi, nessuno si sta inventando nulla di nuovo”.

Sulla questione del deficit, Tridico aveva invitato a ricordare “che la Francia fa deficit da anni e nessuno dice nulla, perché? La verità è che noi oggi siamo abituati a credere che l’Europa sia solo numeri, deficit, debito. Ma invece se andiamo a guardare cosa dice l’Ue ne suo social paper, c’è scritto che ogni Stato deve mettere in atto politiche sociali per chi è in difficoltà”.

Per questo “continuo a ripetere che il reddito si deve fare, come ho detto il modo per trovare i soldi c’è, basta cercarli. Stiamo parlando di una misura che non è un incentivo a starsene a casa, ma che è ben pensata, ben strutturata. Per esempio, ne dico una, viene previsto l’obbligo per chi lo percepisce di frequentare i centri per l’impiego per cercarsi un lavoro”.

Tornando al vertice odierno, che cosa rimane sul tavolo? Semplice, quel rapporto deficit-Pil su cui non si è ancora trovata la quadra. A sentire il ministro per i rapporti con il parlamento, Riccardo Fraccaro, il governo non ha intenzione di impiccarsi sui decimali da qui al 27 settembre e poi fino al 20 ottobre (presentazione della manovra). Peccato che il sistema finanziario invece chieda certezza e soprattutto di non andare oltre il 2%.

L’ultimo report di Credit Suisse parla fin troppo chiaro. “La presentazione della legge di bilancio il 27 settembre sarà il catalizzatore per le banche italiane, perché avrà conseguenze sullo spread e sul rating del Paese. Il rapporto deficit/Pil sarà un numero chiave. Se sarà appena inferiore al 2% la notizia sarà positiva, mentre se si avvicinerà al 3% sarà negativa secondo i nostri economisti”. Lo spread è salito da 127 punti a 238 punti nel secondo trimestre e ora si attesta intorno a 241 punti base: “l’impatto sulle banche italiane in termini di Cet1 è stato di 36 punti base nel secondo trimestre”. No, sulla manovra manca ancora qualcosa. Forse quella più importante.


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