Nell’ultimo intervento di Ignazio Visco, al 64° Convegno di Studi Amministrativi, c’è una parola che vale un intero trattato di economia. Dice il Governatore della Banca d’Italia: “Un aumento improduttivo del disavanzo finirebbe col peggiorare le prospettive delle finanze pubbliche, alimentando i dubbi degli investitori e spingendo più in alto il premio per il rischio sui titoli di Stato. Il rapporto tra debito pubblico e prodotto potrebbe rapidamente portarsi su una traiettoria insostenibile.”
La parola è: “improduttivo”: il discrimine tra un aumento perverso del disavanzo ed uno che può essere invece virtuoso. Se una spesa produttiva fa crescere il potenziale produttivo del Paese, per cui il Pil nominale (Paolo Savona) cresce più del disavanzo, lo stesso rapporto debito pubblico – Pil, può essere avviato lungo un canale discendente. E risolvere, contestualmente, il problema della maggiore crescita e, quindi del più elevato benessere, con quello della stabilità finanziaria. Il contrario succede invece nel caso opposto.
Se si guarda al dibattito in corso, circa la manovra di bilancio, appare evidente una prima differenza. Se il maggior disavanzo è originato da un’aumento degli investimenti pubblici, capaci di attivare anche investimenti privati, pur con un certo rischio, l’operazione si può fare. Se invece la molla del maggior disavanzo è solo spesa corrente, (leggi, ad esempio, salario di cittadinanza non coperto da altri tagli di spesa), si può aprire la strada indicata dal Governatore.
In questo secondo caso, infatti, il rapporto debito – Pil è destinato ad aumentare fin da subito. Non riuscendo il semplice stimolo della maggior domanda interna a compensare lo sforamento dei conti pubblici. Conseguenza del modo di operare del cosiddetto “moltiplicatore” (efficienza della spesa ai fini della crescita del Pil) molto più potente nel caso di una crescita degli investimenti che non della semplice domanda di consumo.
Il rischio che comunque rimane, anche nell’ipotesi virtuosa, è dato dal tipo di investimento che la maggiore spesa pubblica dovrebbe finanziare. “Se la selezione degli investimenti – ammonisce ancora il Governatore – non fosse accurata, o la loro attuazione fosse caratterizzata da sprechi e inefficienze, il moltiplicatore risulterebbe significativamente inferiore, avvicinandosi a quello (più basso) della spesa per trasferimenti.“ Dal che è facile desumere quale sia la differenza tra le proposte più volte avanzate dal Ministro Tria (più investimenti, anche in deficit) rispetto a quella dei 5 stelle sul salario di cittadinanza.
Quali siano le condizioni e le riforme necessarie per garantire l’efficienza degli investimenti sono quindi illustrate in un lungo dettaglio. Esse richiedono un impegno straordinario, vista le reali condizioni del Paese e la sua arretratezza sia sul fronte istituzionale, che procedurale. Considerato il barocchismo e l’indeterminatezza che regna sul fronte programmatico, in tema di effettiva realizzazione degli investimenti ipotizzati. Dalla progettazione dell’opera, alla sua realizzazione, passando per il percorso ad ostacoli delle procedure di gare.
Difficoltà che si traducono, in genere, in un forte ritardo, che può determinare una cesura tra il momento della decisione di scrivere a bilancio un maggior deficit e quello di avere i vantaggi ipotizzati in termini di crescita del Pil. Ritardo che i mercati sono in grado di valutare e quindi di quantificare in termini di rischio, pretendendo maggiori tassi d’interesse, destinati a colpire l’intera economia. Con effetti perversi sull’andamento del rapporto debito-Pil.
Prospettiva, al tempo stesso, realistica ed allarmante, che Visco vede con grande preoccupazione. Per cui, in attesa che la politica (se mai ci riuscirà) realizzi le necessarie riforme, forse è meglio non abbandonare “quel sentiero stretto di cui si è parlato spesso in questi anni difficili”. Vale a dire un forte contenimento,del deficit, rinunciando a propositi più ambiziosi.
Ipotesi realistica? Ne dubitiamo. L’attuale maggioranza giallo-verde avrà tanti torti. Ma su un punto ha perfettamente ragione. Gli elettori quella vecchia politica l’hanno rifiutata con determinazione. Uscita dalla porta principale, quella prospettiva non può rientrare dalla finestra. E quindi è necessario che la ricerca, in campo economico e finanziario, continui, al fine di evitare un corto circuito che potrebbe mettere in discussione valori di natura costituzionale. Sottovalutarne i rischi, potrebbe portare a quel moral hazard che i banchieri centrali conoscono bene. E che non è appannaggio esclusivo delle sole crisi finanziarie