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Helenio Herrera e Nereo Rocco a Milano

La mostra che aprirà i battenti a Palazzo Reale il prossimo 22 maggio racconta una storia leggendaria: la rivalità, la carriera, l’amicizia, le famiglie, gli amici di una coppia celeberrima del calcio italiano ed internazionale, quella formata da Helenio Herrera e Nereo Rocco, il mago e il paròn dei mitici anni Sessanta milanesi.
Prodotta dal Comune di Milano Assessorato alla Cultura con Palazzo Reale e Skira Editore, curata dal giornalista sportivo Gigi Garanzini, sostenuta dalle due squadre di calcio simbolo della città (FC Internazionale Milano e AC Milan) che hanno messo a disposizione straordinari materiali d’archivio, e da Gazzetta dello Sport come media partner, la mostra si rivolge a tutti gli appassionati sportivi, ma anche a coloro che vogliono rivivere la Milano degli anni Sessanta (e ai ragazzi di oggi che non l’hanno vissuta) diventata, all’inizio di quel decennio, la città di riferimento in Europa anche per la cultura, lo spettacolo, il design, la moda, le sue grandi aziende.
Cinquant’anni fa, il 22 maggio del 1963, il Milan di Nereo Rocco vince la Coppa dei Campioni, il 26 maggio della stesso anno l’Inter di Helenio Herrera festeggia lo scudetto e da qui al 1969 si snoda una stagione magica e irrepetibile: i due allenatori faranno di Milano la capitale europea del calcio, alternandosi nella conquista di trofei nazionali, europei e mondiali.

Le differenze
I due personaggi non potrebbero essere però più diversi. Helenio Herrera è argentino, uomo internazionale, vissuto in Marocco e in Francia, calciatore discreto, allenatore grandissimo. Nasce povero e diventerà ricchissimo. Vince il campionato a Barcellona nel 1959 e nel 1960 e arriva in Italia, chiamato da Angelo Moratti, storico presidente dell’Inter, già come una star. Moratti gli raddoppia l’ingaggio e con lui cambia per sempre il parametro economico delle retribuzioni sportive. Herrera si costruisce la fama di mago grazie alle vittorie consecutive con l’Inter nel 1963, 1964 e 1965 in Europa e nel mondo, e contribuisce a far diventare la squadra milanese la prima società sportiva del globo. Parla quattro lingue, da del lei ai giocatori, vive per il calcio. E’ astemio, vive quasi da asceta, si dedica allo yoga. Ha il culto del proclama, un ego ipertrofico ed è un dongiovanni impenitente. Avrà tre mogli: l’ultima, Fiora Gandolfi, celebre giornalista dell’epoca, tuttora fedele custode della memoria di HH, gli darà il figlio Helios. Avrà altri sei figli: due francesi e tre spagnoli dalle prime due mogli e Luna, una bimba adottiva, incontrata a Barcellona e portata in Italia.
Nereo Rocco è l’opposto. Nasce da una famiglia borghese triestina, dal cognome Roch all’asburgica, si rivela da subito un brillante talento calcistico.
Esordisce a sedici anni in serie A, ma sceglie di restare a Trieste, dove il padre è proprietario di una macelleria, che in parte il giovane Nereo gestisce. A trentasei anni guida la Triestina che si classifica seconda dopo il Torino, allena per tre anni il Treviso, poi il Padova che fa salire in serie A. Il Milan lo assume nel 1961, vince subito il primo scudetto e nel 1963 la mitica Coppa dei Campioni contro i portoghesi del Benfica. Parla solo triestino, o meglio uno slang italo-triestino, si considera il fratello maggiore dei giocatori, alterna il ruolo di padre spirituale a quello di sergente di ferro. Ha il gusto della battuta fulminante. Il suo “ufficio” è nelle varie osterie predilette, a Milano al ristorante L’Assassino il suo tavolo è sempre aperto agli amici e a qualche giornalista, ama mangiare e bere, ha una moglie all’antica, la Siora Maria, che morirà dopo di lui quasi centenaria e due figli, Tito e Bruno. La sua straordinaria carriera al Milan vedrà anche un periodo di allontanamento e dissapori, ma il ritorno a Milano nel 1967 frutterà un altro scudetto al primo tentativo, seguito dalla Coppa dei Campioni, dalla Coppa Intercontinentale e da due Coppe delle Coppe.
Rocco muore nel 1979, Herrera gli sopravvive di quasi vent’anni, morendo nel 1997. In mezzo c’è un rapporto di accesa rivalità all’inizio, ma anche di grande stima reciproca che diventa col tempo di complicità e amicizia. Sono due grandi comunicatori che recitano la parte imposta dai rispettivi ruoli.

La rivalità
La mostra milanese si apre proprio sul tema della rivalità iniziale: il visitatore potrà scegliere infatti un percorso nerazzurro o uno rossonero, che naturalmente poi confluiranno in spazi comuni. Le prime sale sono dedicate alla Milano del 1963 con splendide fotografie e filmati non sportivi, di altri celebri rivali, personaggi come Celentano e Jannacci, Chiari e Bramieri, Callas e Tebaldi, aziende come Motta e Alemagna, edifici come il Pirellone e la Torre Velasca, una panoramica del meglio della città dell’epoca. Nel salone più grande a seguire filmati e interviste secondo il percorso prescelto, dedicati all’attività iniziale di Herrera e Rocco.

Le immagini e i ricordi
La mostra prosegue poi con una sorta di memoriale, con fotografie e oggetti di Herrera e Rocco da piccoli e via via più adulti, con un omaggio speciale a Gianni Brera, massimo cantore del calcio a tutto tondo. Maglie, scarpe, ricordi personali, la famosa lavagna tattica di Herrera, un quadro che il grande De Chirico aveva regalato a Rocco per consolarlo di una sconfitta. Viene quindi ricostruita l’atmosfera degli spogliatoi, compreso lo scorrere dell’acqua e il profumo di olio canforato, con alcune sorprese per i visitatori come armadietti che si aprono e mostrano filmati divertenti, spesso inediti. Segue la sala dei Trionfi, con tutte le coppe vinte da Herrera e Rocco e sullo sfondo una parete rosa con le pagine storiche della Gazzetta dello Sport. Ancora fotografie e filmati di allenamenti, con i due tecnici nella loro quotidianità, tra panchina, dialoghi con i giocatori e vita in campo. Sfilano le immagini di grandi campioni come Mazzola, Picchi, Suarez, Corso, Altafini, Rivera, Trapattoni. Chiude la mostra una sala video dove altre immagini, altre interviste si alternano a spezzoni delle grandi finali europee e mondiali vinte dai due personaggi.
Una carrellata di centinaia di fotografie, di numerosi e rari filmati provenienti dalle Teche Rai, e di molti oggetti di culto, prestati soprattutto dalle famiglie dei due grandi allenatori, per darci un ritratto veritiero e umanissimo di due personaggi che hanno fatto la storia del calcio. Tutto raccontato e illustrato anche in un libro speciale, che farà da catalogo della mostra, edito da Skira.
Una mostra quindi destinata ad almeno tre generazioni di sportivi e sportive. Quella che ricorda le imprese del mago e del paròn, quella che ne ha letto o sentito parlare, quella che invece ne scoprirà all’improvviso sia le gesta, sia la straordinaria personalità.



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